Trent'anni Dia, dibattito nell'aula bunker. "Delocalizzazione delle mafie e nuove tecnologie, fenomeni da affrontare rimanendo uniti"

di Ambra Drago
Trent'anni della Dia, la sua storia, la sua operatività nel contrasto alla criminalità organizzata insieme al ricordo della lungimiranza del magistrato Giovanni Falcone sono stati al centro di una giornata di dibattito nell'aula bunker del carcere Ucciardone, luogo che fu il teatro del più grande processo alla storia fatto alla mafia. Dopo un introduzione del direttore della Dia- Maurizio Vallone che ha ribadito ancora una volta l'importanza di fare squadra tra magistratura e Forze dell'Ordine e che bisogna tenere alta l'attenzione nel contrasto alle mafie che non sono sconfitte, via via si sono alternati autorevoli relatori.

Un saluto del Presidente del Tribunale, Antonio Balsamo, del prefetto di Palermo Forlani e dell'ex procuratore Pietro Grasso. In platea tanti giovani attenti a conoscere passaggi storici e fondamentali per l'assetto organizzativo e giuridico del contrasto alle mafie sempre più internazionali.
Un passaggio questo evidenziato dal procuratore nazionale antimafia, Cafiero De Raho che ha la disponibilità diretta della Dia ma delle strutture investigative che si occupano di contrasto alle mafie. Il procuratore ha ricordato quanto sia importante la collaborazione tra gli uffici, così come auspicava Falcone tenendo sempre a mente il carattere di riservatezza delle indagini. E tante tante indagini, soprattutto dal giorno della sua istituzione il 29 ottobre 1991 ha effettuato la Dia, un lavoro come ha ricordato il Direttore Centrale Anticrimine, il prefetto Francesco Messina, inizialmente repressivo per permettere allo Stato di inserirsi in quegli spazi che la strategia mafiosa mirava a conquistare.
"Io entrai alla Dia, tramite concorso, ricorda il direttore del Dac, Messina, il 1 giugno 1992 ed il mio percorso durò sette anni. Il modello che si creò nella Dia era davvero straordinario. Lavorammo fianco a fianco con i magistrati. Ora esiste l'esigenza di confrontarsi con un agire mafioso che è cambiati e anche la Polizia sta cambiando il modo di affrontare la criminalità organizzata. Dobbiamo tenere conto della delocalizzazione delle mafie. Bisogna quindi che a conoscere la materia siano persone specializzate. Un primo passaggio storico che voglio ricordare è il passaggio della Criminalpol alle Squadre Mobili. Questa premessa per dire che la Polizia è tornata a un sistema antecedente al sistema Napolitano ed ha creato una struttura che si occupa di criminalità che dipende direttamente dal Sistema Centrale Operativo. Quindi i magistrati hanno anche la possibilità di avere ulteriori ufficiali di polizia giudiziaria specializzati. Un lavoro di squadra, il nostro come Polizia ma anche la Dia e tutte le forze dell'ordine a disposizione degli inquirenti".
E sul fare rete e sulla necessità di collaborazione in ambito non strettamente territoriale ma anche europeo si sono trovati concordi tutti gli intervenuti, soprattutto alla luce dello sviluppo delle nuove tecnologie e sugli interessi delle mafie che hanno abbandonato la fase dello stragismo per interessarsi agli affari in un momento in cui il Paese dovrà confrontarsi con il Piano di Ripresa e Resilienza.

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