"Che ne è della nostra civiltà? Dei nostri modelli di educazione? Dei valori delle nostre città? Del nostro credere? Siamo ancora umani? Siamo ancora recuperabili? Ci sentiamo inchiodati a un fallimento avvilente, disperato e disperante. Sentiamo e facciamo nostro il grido degli uccisi e elle loro madri, dei loro padri, delle loro famiglie, dei loro amici. E sentiamo anche da cristiani una infinita, drammatica pena per gli uccisori e per le loro famiglie. Dovranno pagare per aver tolto la vita ad altri consegnando la loro al baratro infernale, scavato dell’odio omicida: che follia stracolma di dolore legittimo e illegittimo! A chi attribuire questa sconfitta atroce della nostra umanità? Della nostra civiltà? Del nostro cristianesimo? Abbiamo bisogno innanzitutto di non dimenticare troppo presto questa violenza e questo dolore. Dimenticare è la piaga che provoca lo smarrimento della nostra umanità. Possiamo parafrasare la scritta di George Santayana riportata su un muro di Auschwitz: «Chi dimentica il proprio peccato si condanna a ricompierlo’». In questo periodo, in cui la Chiesa celebra la Pasqua, è nostro primo, irrinunciabile dovere quello di star vicini alle famiglie degli uccisi, dei feriti, per dare il massimo di consolazione e di sostegno concreto. Dobbiamo essere vicini anche agli smarriti, ai giovani assassini, perché nella consapevolezza dell’atroce follia che hanno commesso ricomincino a rinascere come umani. E dobbiamo assieme – senza accuse e invettive, ma con umiltà – cercare quale terreno ha fatto crescere e germogliare questi semi di morte. Analisi spietate, alla ricerca non delle colpe altrui, non di capri espiatori, ma dei significati legati al dovere di sentirsi responsabili di fronte a questa tragedia.
Poi un richiamo alle parole di Papa Francesco e ai momenti difficili vissuti dalla Sicilia negli anni delle Stragi. "La tragedia di Monreale ci interpella. Interpella ogni educatore. Anche noi, Pastori delle Chiese di Monreale e di Palermo, ci sentiamo interpellati. Papa Francesco ci raccomanda di non scoraggiarci, di non usare più frasi come: “Ho provato tutte le strade non serve a niente”; ‘I giovani sono chiusi”; “Ormai tutto è perduto”. Le nostre città non si sono arrese neanche di fronte alle morti atroci di Falcone e di Borsellino e dei tanti altri e altre uccisi dalla mafia.
Anche di fronte alle morti generate dalla violenza sociale – altra faccia della stessa medaglia – non possiamo arrenderci! Ripartiamo come dice il Papa: avviamo processi. Apriamo strade". Forse dobbiamo ripartire dal ‘formarci’ noi adulti, noi educatoriinterrogandoci su cosa dobbiamo cambiare nel nostro rapporto con i giovani. Essere interessati ai giovani: guardarli e ascoltarli con interesse".
A conclusione della missiva un ulteriore riflessione: "Aveva ragione chi affermava che sogno dell’uomo è il ‘superuomo’. Rispettare l’umano è il modo migliore di essere superuomini. Usciamo dal mito della potenza, del diritto del più forte, del dominio sulle coscienze e sulle vite altruied entriamo nella terra promessa della consapevolezza di noi stessi e del contatto nutriente e sereno con l’esistenza e i volti degli altri. Una umanità più umana è il fondamento di una nuova civiltà".
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