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Lettera aperta degli Arcivescovi di Monreale e di Palermo: " Per una umanità più umana abbiamo bisogno di non dimenticare questa violenza e questo dolore"

Una lettera aperta quella scritta dai due Arcivescovi di Palermo e Monreale, rispettivamente Monsignor Corrado Lorefice e Monsignor Gualtiero Isacchi. Un bisogno di comunicare e di fornire sostegno alle comunità colpite dalla tragedia che si è consumata il 27 aprile. "Siamo ancora sconvolti dalla tragedia che si è consumata a Monreale. Una serata serena al bar, in un attimo, si è trasformata in una giungla di violenza e di morte. Si innesca una lite brutale. I giovani sui motorini vengono da Palermo, e, per l’appunto, dallo Zen (un acronimo che è una continua conclamata accusa: Zona Espansione Nord). Cominciano a sparare in modo selvaggio sui loro coetanei e sui passanti. Terribile. Incredibile. Andrea, Salvatore, Massimo perdono la vita, altri rimangono feriti. Una strage. Assurdo. In un attimo distrutte tante vite,tante famiglie, tanti futuri. Urla. Dolore. Pianto inconsolabile. Perché? Tutta la civiltà che credevamo di aver costruito ad un tratto scompare. L’uomo è ancora quello della clava.E a Monreale è esplosa la violenza più banale e assurda".Ecco che i due Arcivescovi sottolineano nella lettera, è normale porsi delle domande dinanzi a quanto è accaduto. 
"Che ne è della nostra civiltà? Dei nostri modelli di educazione? Dei valori delle nostre città? Del nostro credere? Siamo ancora umani? Siamo ancora recuperabili? Ci sentiamo inchiodati a un fallimento avvilente, disperato e disperante. Sentiamo e facciamo nostro il grido degli uccisi e elle loro madri, dei loro padri, delle loro famiglie, dei loro amici. E sentiamo anche da cristiani una infinita, drammatica pena per gli uccisori e per le loro famiglie. Dovranno pagare per aver tolto la vita ad altri consegnando la loro al baratro infernale, scavato dell’odio omicida: che follia stracolma di dolore legittimo e illegittimo! A chi attribuire questa sconfitta atroce della nostra umanità? Della nostra civiltà? Del nostro cristianesimo? Abbiamo bisogno innanzitutto di non dimenticare troppo presto questa violenza e questo dolore. Dimenticare è la piaga che provoca lo smarrimento della nostra umanità. Possiamo parafrasare la scritta di George Santayana riportata su un muro di Auschwitz: «Chi dimentica il proprio peccato si condanna a ricompierlo’». In questo periodo, in cui la Chiesa celebra la Pasqua, è nostro primo, irrinunciabile dovere quello di star vicini alle famiglie degli uccisi, dei feriti, per dare il massimo di consolazione e di sostegno concreto. Dobbiamo essere vicini anche agli smarriti, ai giovani assassini, perché nella consapevolezza dell’atroce follia che hanno commesso ricomincino a rinascere come umani. E dobbiamo assieme – senza accuse e invettive, ma con umiltà – cercare quale terreno ha fatto crescere e germogliare questi semi di morte. Analisi spietate, alla ricerca non delle colpe altrui, non di capri espiatori, ma dei significati legati al dovere di sentirsi responsabili di fronte a questa tragedia.

Poi un richiamo alle parole di Papa Francesco e ai momenti difficili vissuti dalla Sicilia negli anni delle Stragi. "La tragedia di Monreale ci interpella. Interpella ogni educatore. Anche noi, Pastori delle Chiese di Monreale e di Palermo, ci sentiamo interpellati. Papa Francesco ci raccomanda di non scoraggiarci, di non usare più frasi come: “Ho provato tutte le strade non serve a niente”; ‘I giovani sono chiusi”; “Ormai tutto è perduto”. Le nostre città non si sono arrese neanche di fronte alle morti atroci di Falcone e di Borsellino e dei tanti altri e altre uccisi dalla mafia.
Anche di fronte alle morti generate dalla violenza sociale – altra faccia della stessa medaglia – non possiamo arrenderci! Ripartiamo come dice il Papa: avviamo processi. Apriamo strade". Forse dobbiamo ripartire dal ‘formarci’ noi adulti, noi educatoriinterrogandoci su cosa dobbiamo cambiare nel nostro rapporto con i giovani. Essere interessati ai giovani: guardarli e ascoltarli con interesse".
A conclusione della missiva un ulteriore riflessione: "Aveva ragione chi affermava che sogno dell’uomo è il ‘superuomo’. Rispettare l’umano è il modo migliore di essere superuomini. Usciamo dal mito della potenza, del diritto del più forte, del dominio sulle coscienze e sulle vite altruied entriamo nella terra promessa della consapevolezza di noi stessi e del contatto nutriente e sereno con l’esistenza e i volti degli altri. Una umanità più umana è il fondamento di una nuova civiltà".

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