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Lettera di Totò Cuffaro a Gianni Alemanno

Caro Gianni, 
ti scrivo da fratello nella prova, e da uomo che ogni giorno, senza interruzioni, legge e medita le pagine del tuo Diario di Cella. Ogni parola che metti su carta è un frammento di verità che attraversa le mura, ogni immagine che descrivi è una lama che penetra e si imprime in chi, come me, conosce la stessa aria, lo stesso odore di umidità, lo stesso rumore sordo delle chiavi e lo stesso silenzio che pesa più del ferro. Ho letto le tue righe sul Ferragosto e sull’abbandono. Hai ragione: la politica, che dovrebbe essere madre, si comporta come una matrigna distratta, lasciandoci — come scrivi tu — “cani sull’autostrada”. Eppure, in questa fotografia amara che tu scatti con sofferta precisione, io vedo anche un’urgenza che ci chiama: trasformare la nostra condizione da condanna muta a testimonianza viva. Spes Contra Spem, Gianni, perché anche nel vuoto dell’estate politica, la speranza è la nostra unica risorsa non confiscabile.
Il passaggio di uomini che hanno avuto potere, responsabilità e governo della cosa pubblica — e che oggi sono qui, dietro le sbarre — non può e non deve essere reso vano. Sarebbe un inutile errore , un fallimento di noi stessi e del Paese, se questa caduta non si trasformasse in motivo di rinascita. Noi sappiamo cosa significa guidare e decidere e oggi sappiamo cosa significa essere dimenticati. Questa doppia esperienza, dura come pietra, deve diventare parola, proposta, ammonimento. È così che il dolore può diventare seme, e il seme, se coltivato, può generare frutto. Spes contra Spem, perché anche la pietra più dura può essere levigata dal tempo e dalla misericordia. La tua denuncia di Antonio, di Roberto, di Giuseppe, di Francesco… non è solo un elenco di nomi: è una Via Crucis fatta di volti, di corpi che cedono e di anime che resistono. Qui, dove la legge dell’uomo spesso si ferma sulla soglia della misericordia, Cristo continua a passare. Passa in un bicchiere d’acqua condiviso, in una parola detta al momento giusto, in una mano che impedisce ad Antonio di mollare. Il carcere, Gianni, non è soltanto storie di corpi: è un Vangelo vivo scritto dalle anime ferite. Papa Francesco ci ha lasciato un insegnamento che dovremmo scolpire nel cuore: persino la porta di sbarre può essere “parimenti sacra” della Porta Santa. Ogni volta che usciamo dalla nostra cella per un’ora d’aria o per un colloquio, se lo vogliamo, stiamo attraversando un varco che può cambiarci. La cella, con tutto il suo dolore diventa un Santuario di sbarre . Spes contra spem, perché la sacralità può germogliare anche qui, dove il mondo pensa ci sia solo condanna. Il carcere mi ha ricordato che la politica vera non si fa soltanto nei Palazzi. La politica vera è quando ti alzi per aiutare chi non ha voce, quando difendi chi nessuno difende, quando rifiuti di voltarti dall’altra parte. La politica che ha abbandonato i detenuti si è dimenticata che la dignità è un diritto inalienabile. Ma noi che siamo mendicanti che abbiamo creduto di essere Re, noi che siamo stati ai vertici e oggi siamo nel fondo, possiamo essere il ponte tra questi due mondi. Spes contra spem, perché un ponte è utile solo se qualcuno, prima o poi, decide di attraversarlo. Non ti nascondo che anch’io mi chiedo dove trascorrerà le vacanze la Giustizia. Ma so che la vera domanda è un’altra: quando e se la giustizia tornerà ad essere madre, e non solo matrigna; quando e se saprà guardare il detenuto non come scarto, ma come persona. Continua a scrivere, Gianni. Continua a raccontare. Io continuerò a leggerti e a risponderti. Perché se la politica ha preso ferie, la nostra coscienza e la nostra fede non chiudono mai. Spes Contra spem, amico mio perché non dobbiamo solo avere speranza dobbiamo essere speranza, perché la speranza è una cosa buona e come tutte le cose buone anche se alla fine vincono sempre.

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