Appello Trattativa Stato-mafia, le motivazioni: "C'è stata, ma solo per fermare le stragi"

Depositate le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 23 settembre dalla Corte d'assise d'appello di Caltanissetta riguardante il processo Trattativa Stato-mafia. In primo grado vennero assolti dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato gli ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno e l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri. La corte, presieduta da Angelo Pellino, condannò invece i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. Nelle 2971 pagine sono state diversi gli spetti su cui si sono soffermati. In particolare i giudici hanno confermato che una "trattativa accettata da Riina" ci fu sottolineano un'improvvida iniziativa" quella di contattare l'ex sindaco mafioso di Palermo, Ciancimino, ma scrivono come la finalità dei carabinieri sarebbe stata quella di fermare le Stragi."Scartata l'ipotesi che i carabinieri abbiano agito per preservare questo o quel personaggio politico, deve ribadirsi che nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa nostra che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle Stragi e nel sollecitare tale dialogo furono mossi da fini solidaristici (la salvaguardia della incolumità e della collettività nazionale).Tra le pagine delle motivazioni si fa riferimento anche alla mancata cattura di Provenzano.""Esclusa qualsiasi ipotesi di collusione con i mafiosi, se Mori e Subranni potevano avere interesse a preservare la libertà di Provenzano, ciò ben poteva essere motivato dal convincimento che la leadership di Provenzano, meglio di qualsiasi ipotetico e improbabile patto, avrebbe di fatto garantito contro il rischio del prevalere di pulsioni stragiste o di un ritorno alla linea dura di contrapposizione violenta allo Stato".

Lo scrive la Corte d'Assise d'Appello nella sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia sostenendo che i carabinieri avrebbero voluto "favorire la latitanza di Provenzano in modo soft".
"V'erano dunque indicibili ragioni di 'interesse nazionale' a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra che sancivano l'egemonia di Provenzano e della sua strategia dell'invisibilità o della sommersione - spiegano -, almeno fino a che fosse stata questa la linea imposta a tutta l'organizzazione. Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un ancora più pericoloso". Per quanto attiene alla mancata perquisizione del covo di Riina scrive la corte."In tale contesto pur in assenza di un previo accordo con Bernardo Provenzano o con soggetti a lui vicini, e quindi di una specifica volontà di favoreggiamento, con la mancata perquisizione si intese lanciare un segnale di buona volontà, un segnale cioè della disponibilità a mantenere o riprendere il filo del dialogo che era stato avviato attraverso i contatti con Ciancimino per giungere al superamento a quella contrapposizione di Cosa nostra con lo Stato che era già culminata nelle Stragi di Capaci e via d'Amelio. E aggiungono: "Non v'è prova che fosse intervenuto un previo accordo con Provenzano o altri esponenti che contemplasse da un lato la consegna di Riina e dall'altro la rinuncia a perquisire l'immobile dando tempo ai mafiosi di ripulirlo di ogni traccia- Nè Mori e i suoi potevano essere certi dell'esistenza all'interno dell'abitazione di tracce utili alle indagini o addirittura di documen ti compromettenti. Ma anche se fossero stati certi che non vi fosse nulla di compromettente, si sarebbero ugualmente determinati di astenersi da una perquisizione immediata perchè il significato di quel gesto era soprattutto simbolico, dovendo servire a lanciare il segnale di buona volontà e di disponibilità di proseguire sulla via del dialogo". Alcune pagine sono dedicate all'ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, assolto dall'accusa di minaccia a corpo politico dello Stato. Scrive la Corte:"«Manca la prova certa che Marcello Dell’Utri abbia fatto da tramite per comunicare la rinnovata minaccia mafiosa-stragista fino a Silvio Berlusconi quando questi era Presidente del Consiglio dei Ministri così percorrendo quello che, per opera di semplificazione, può essere individuato come ‘l’ultimo migliò percorso il quale il reato sarebbe stato portato a consumazione".E aggiunge:“Al di là del pieno coinvolgimento di Dell’Utri nell’accordo preelettorale (o nella promessa elettorale come pure definita), - conclude - sul quale sono state raccolte plurime e convergenti elementi di conferma perfino rafforzati in questo giudizio di appello non si ha prova che a questa fase, qualificabile come un antefatto o antecedente non punibile, abbia fatto seguito la fase ulteriore della comunicazione della minaccia a Berlusconi in qualità di parte offese e di Presidente del Consiglio per ottenere l’adempimento, appunto sotto la minaccia mafiosa, degli impegni assunti dallo stesso Dell’Utri nella precedente campagna elettorale". Una visione diametralmente opposta al primo grado anche per quel che attiene la Strage di via D'Amelio e la morte del giudice Borsellino.La strage era decisa e la sua esecuzione non fu accelerata dalla cosiddetta trattativa, continuano i giudici della corte d’assise d’appello di Palermo. L’operazione Borsellino era già in itinere; ed allora si può concedere che l’essere venuto a conoscenza che uomini dello Stato si erano fatti sotto per negoziare non ebbe l’effetto di dare la precedenza all’attentato a Borsellino, sconvolgendo un’ipotetica diversa scaletta del suo programma criminoso: più semplicemente, non fece cambiare di una virgola, a Riina, i suoi piani», scrive la corte. “E’ assai più probabile, incrociando le varie fonti di datazione degli avvenimenti in oggetto, che Riina sia stato edotto dell’iniziativa dei carabinieri del R.O.S. e della sollecitazione rivolta attraverso Ciancimino soltanto dopo che la strage di via D’Amelio era stata commessa», spiega. “E ovviamente si dà per scontato che un intervallo temporale di soli“57 giorni - poiché tanti ne passarono tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio- sia troppo esiguo, per non pensare all’intervento di uno o più fatti nuovi che abbiano imposto di abbreviare i tempi: - conclude la corte - come se esistesse un prontuario delle stragi (mafiose) che insegni quale sia il tempo canonico che è opportuno far passare tra una strage e l’altra per cui, pur disponendo dei mezzi, degli uomini delle capacità organizzative e tecnico-logistiche, nonché del potenziale bellico necessari all’impresa, Cosa Nostra avrebbe dovuto attendere più di due mesi».La Corte nei diversi passaggi afferma anche: «Avere ipotizzato anche nei confronti di eminenti personalità istituzionali, come il ministro Conso o il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un concorso oggettivo alla realizzazione del reato o un cedimento alla minaccia mafiosa, con il risultato di dover compiere poi acrobazie dialettiche per affrancarli da un giudizio postumo di responsabilità penale (facendosi leva sulla genuinità delle intenzioni o sull’aver ignorato i retroscena più inquietanti) a parere di questa corte, oltre che ingeneroso e fuorviante, è frutto di un errore di sintassi giuridica.




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