Sono 1.700 le aziende già confiscate in Italia, 9.992 gli immobili confiscati e 5.502 i beni confiscati in Sicilia. Delle aziende confiscate in gestione da parte dell’Agenzia nazionale per i Beni confiscati circa la metà è in chiusura, in fallimento, fuori mercato o alla ricerca di una definizione del ruolo imprenditoriale. A Palermo si contano 525 aziende confiscate e 4.470 immobili entrati a far parte del demanio pubblico. Alla fine l’80 per cento delle aziende liberate dal controllo mafioso, che potrebbero positivamente rientrare nel mercato legale salvaguardando i posti di lavoro, non ce la fa. Da questo dato emerge in primo luogo tutta la difficoltà, con le norme attuali, da parte del sindacato di svolgere la propria legittima azione contrattuale. Spesso, da parte degli amministratori giudiziari, il coinvolgimento delle parti sociali non viene assunto come una opportunità per dare maggiore concretezza n ella ricerca di una prospettiva di legalità economica per l’azienda sequestrata.
i La Cgil di Palermo vuole vincere la battaglia contro il fallimento delle aziende confiscate, in modo da coniugare i risultati delle preziose indagini della magistratura con interventi che garantiscano il mantenimento delle attività produttive e la tutela della stabilità occupazionale del territorio e affinché non passi l’idea che “con la mafia si lavora, quando arriva lo Stato il lavoro scompare”. Questo fa capire quanto sia importante che i contenuti della legge d’iniziativa popolare Io Riattivo il Lavoro, approdata in Commissione Giustizia alla Camera, siano rapidamente approvati. La Cgil è tra i promotori del disegno di legge che tra le sue norme prevede forme di tutela per i lavoratori delle aziende confiscate e anche un fondo per permettere alle aziende di superare le difficoltà nei rapporti con le banche. Il messaggio ai lavoratori e al Paese è che la legalità conviene. Per questo la Cgil sollecita l’Agenzia affinché metta in campo tutte le azioni per consentire alle aziende di proseguire il loro lavoro. Sia con atti di natura normativa che con fatti concreti, a partire dalla piena agibilità rispetto alle vertenze che fanno capo all’Agenzia nazionale e con la richiesta che sul versante delle aziende confiscate sia data una corsia preferenziale alla legge che è stata depositata in Parlamento. Nell’ambito della strategia di programmazione 2014-20120 la Cgil ha sostenuto la necessità di inserire nelle quattro regioni meno sviluppate Sicilia, Campania, Calabria e Puglia un PON “azioni per la legalità”. Dove si prevedono interventi per l’aumento della legalità nelle aree ad alta esclusione sociale e il miglioramento del tessuto urbano nelle aree a basso tasso di legalità”. Alcuni strumenti della programmazione 2014/2020 potrebbero essere finalizzati ad azioni di sostegno ai beni e alle aziende confiscate.
LE SCHEDE
MARMELLATE E LIQUORI NEL MANDARINETO CONFISCATO ALLA MAFIA A CIACULLI
Il progetto si chiama MandarInArte e ha aperto i suoi spazi al pubblico due anni fa all’interno di un bene confiscato alla mafia, a Ciaculli, nel territorio del boss Giovanni Prestipino, dove oggi si coltivano, oltre agli agrumi, arte e legalità. Quello che era lo scheletro di un edificio abusivo a tre piani, abbandonato da più di dieci anni, in mezzo al mandarineto di oltre 1850 metri quadrati, oggi è diventata una struttura rifinita, moderna e funzionante, realizzata su progetto della facoltà di Architettura, con un giardino sul tetto e spazi alternativo per la sperimentazione artistica e la promozione della legalità. Il progetto, finanziato dalla Fondazione con il Sud, avviato nel 2011, è un simbolo di rinascita: dall’abusivismo mafioso al “faro della legalità”. “Acunamata” onlus è l’associazione che ha in gestione il bene confiscato ottenuto dal Comune, partecipando a un bando nel 2008. La cooperativa “Altriritmi” si occupa della lavorazione e della cura della campagna. Tre gli ambiti: il programma mandarino, il programma teatro-forum per le scuole e il programma Arf-in movimento rivolto al territorio e agli anziani in particolari. Si producono liquore di mandarino e marmellate e da quest’anno i derivati dell’orto biologico, come agrumi e lattughe. La casa ospita un laboratorio, una cucina attrezzata e un salone di 120 metri quadrati per le attività con le scuole. “Adesso, terminato lo start-up, camminiamo con le nostre gambe – dice il presidente di Acunamatata e di Altriritmi Romolo Resga - Siamo già inseriti nei circuiti delle visite turistiche ai beni confiscati. Da tutt’Italia le scuole arrivano per discutere di legalità. E stiamo lanciando i nostri prodotti alle fiere che si svolgono in Italia”.
TURISMO E VINI DI QUALITA’: ALL’ABBAZIA SANT’ANASTASIA, SOTTO SEQUESTRO I LAVORATORI PRONTI A GESTIRE IL BENE
L’azienda è sotto sequestro dal giugno 2010. Comprende l’antica Abbazia del 1.100, recuperata e ristrutturata (prima del sequestro) con finanziamenti della comunità europea, 29 camere, 55 posti letto, categoria 5 stelle, aperta tutto l’anno. E una cantina rimodernata che produce 200 mila bottiglie, con 16 etichette di vino biologico più l’olio. Vi lavorano 12 persone a tempo indeterminato, e tra 35 e 75 stagionali a tempo determinato. “Abbiamo deciso di puntare tutto sulla qualità. L’azienda sotto sequestro ha iniziato subito a soffrire per i debiti con le banche – è la testimonianza di Enzo Mogavero - Dopo il sequestro abbiamo subito una forte contrazione, soprattutto nel settore enologico. L’amministratore giudiziario a quel punto ha responsabilizzato i lavoratori, per evitare il fallimento. Nessuno si è tirato indietro anche perché la struttura era già conosciuta ed apprezzata e i vini si vendevano bene. Così siamo cresciuti: abbiamo allargato il settore vendita, abbiamo risalito la china, la forza lavoro è stata confermata e il fatturato si è incrementato. Il passaparola, il lavoro di qualità, la partecipazione alle fiere, anche a quelle biologiche, hanno aiutato il nome dell’azienda”. “Se si arriverà alla confisca – aggiunge Mogavero – formeremo una cooperativa dei dipendenti e ci candideremo all’assegnazione del bene. Siamo qui sin dall’inizio, abbiamo fatto diventare l’Abbazia un’azienda agrituristica rinomata nella provincia di Palermo. Sarebbe giusto per noi rimanere nella gestione del bene”.
FUTURO ANCORA INCERTO PER I DIPENDENTI DELLE TRE AZIENDE EDILI DELL’EX GRUPPO AIELLO
Tra le storie c’è quella dei 120 dipendenti delle aziende edili del gruppo Aiello, la Ati Group, la Edimar e l’Ediltecnica, confiscate da più di un anno. I lavoratori stanno valutando le azioni future. Una delle soluzioni è la formazione di una cooperativa e la richiesta di affidamento del bene da parte dell’Agenzia per i beni confiscati.
Sequestrate nell’ottobre del 2003, assieme a Villa Santa Teresa, le tre imprese, con 165 dipendenti, in questi 11 anni sono andate avanti con cicli di cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga. I lavoratori hanno continuato a portare avanti le commesse esistenti, non sufficienti però a garantire l’occupazione per tutti. Commesse soprattutto nel campo sanitario, come i lavori negli ospedali di Bronte e Biancavilla, al Policlinico di Palermo, l’ampliamento della stessa Villa Santa Teresa, i lavori a Villa Sofia. Tra le opere anche il mattatoio di Partinico e progetti minori per il comune di Bagheria. La confisca diventa definitiva nel luglio del 2013. Con la confisca aumentano i problemi. L’azienda viene spacchettata e il patrimonio acquisito dallo Stato. Il risultato è che viene a mancare la liquidità per portare avanti i lavori ma anche per pagare fornitori e stipendi. Si arriva al collasso. La Fillea porta avanti la battaglia per la garanzia dei livelli occupazionali. Il 22 gennaio scorso la Cgil siglato un accordo, alla presenza dell’amministratore giudiziario, che consente di reiterare la cassa integrazione per tutto il 2015, finalizzata a mantenere i livelli occupazionali. Con l’accordo, l’Agenzia affida all’Ati Group una serie di commesse che nel breve e medio termine garantiranno l’occupazione. A partire dal completamento delle opere in corso: i lavori per i due ospedali in provincia di Catania e per Villa Santa Teresa saranno portati a termine con un affitto alla Lotus del ramo d’azienda. La Lotus affiderà le opere ai lavoratori di Ati Group. L’altra metà dell’accordo prevede l’affidamento di nuove commesse. Tra queste un subappalto di uno svincolo sulla Bolognetta-Lercara, per realizzare il quale un gruppo di edili lavorerà per la Cmc. Tra gli affidamenti in itinere da parte dell’Agenzia c’è anche la messa in sicurezza di un albergo confiscato nel trapanese, del gruppo Grigoli, e i lavori per la galleria di Segesta. Cessata la cassa integrazione, nel 2016 i lavoratori potrebbero andare avanti con una loro cooperativa, progetto al quale lavorano.
LA COOPERATIVA IN STAND BY DEI DIPENDENTI DLEL’IMMOBILIARE SANSONE E DELL’IMMOBILIARE RAFFAELLO
Per 23 anni - tanto è il tempo trascorso dai sequestri dei patrimoni dell’Immobiliare Sansone e dell’Immobiliare Raffaello - i sei dipendenti della prima società e i due dipendenti della seconda hanno continuato gestire gli affitti di interi palazzi, garage, uffici, appartamenti. Scattata la confisca, gli immobili del gruppo Raffaello sono stati quasi tutti ceduti dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati al Comune di Palermo e i due dipendenti sono stati licenziati. Per l’Immobiliare Sansone, l’acquisizione dei beni da parte dello Stato è ancora in corso. I lavoratori dei due gruppi si sono così uniti e hanno formato in 8 una cooperativa, nata nel settembre del 2014, che ha come scopo la gestione di immobili confiscati. “Al momento la cooperativa è stata formata ma non può partire perché non ha incarichi da gestire – racconta Rino Casubolo, dipendente dell’Immobiliare Sansone - Viviamo con quest’ansia. I nostri amministratori hanno rappresentato le nostre esigenze all’Agenzia. Ma per affidare i contratti per la gestione degli affitti di immobili confiscati, l’Agenzia deve espletare le gare. La cooperativa a questo punto potrebbe non essere la soluzione, benché ci sia un articolo specifico della normativa che prevede la costituzione di cooperative da parte di ex dipendenti per ottenere in affitto gratuito l’azienda da cui provengono. Ma nel caso in cui si tratta di immobili, l’affidamento non è automatico. In questo caso la norma non funziona”.
IL SAN PAOLO PALACE: 80 DIPENDENTI IN ATTESA. IL PROGETTO DEL CAMPUS UNIVERSITARIO.
Il San Paolo Palace Hotel, assieme alle altre aziende del gruppo Jenna, è stato confiscato definitivamente nel 2000 e il bene è rientrato nella gestione dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati. La Sea Beach Immobiliare (che al suo interno ha assorbito l’ex San Paolo Immobiliare, un’altra delle aziende del gruppo) è l’azienda che gestisce l’attività alberghiera del San Paolo Palace, con 70 dipendenti. Mentre la Moderna Edilizia è la proprietaria dell’albergo e si occupa, con i suoi 10 dipendenti, della manutenzione dell’hotel e della gestione di diversi condomini e appartamenti attigui confiscati, come le palazzine con le abitazioni di guardia di finanza e carabinieri. L’Agenzia in questi 15 anni è riuscita a salvaguardare i posti lavoro. Ma non esiste un progetto definitivo. L’attività alberghiera prosegue, sia pur con 5 mesi di cassa integrazione l’anno. Un anno fa era stata annunciata la trasformazione dell’albergo in un campus per studenti dell’Università di Palermo. Ma al momento il progetto è in stand by: tra i dubbi, la difficoltà di garantire l’assorbimento di tutto il personale. Dall’altro lato ci sono i dieci dipendenti della Moderna Edilizia, che si occupano della gestione degli immobili in carico alla società. “Non sappiamo come andrà a finire – dice Giovanni Traina, della Moderna edilizia - Finora il lavoro, e quindi i nostri stipendi, sono stati garantiti sia pur di anno in anno. Anche per il 2015. Ma per il 2016 non abbiamo certezza. L’Agenzia continua a cedere ad altri enti il patrimonio che garantiva all’azienda le entrate economiche per il personale. E presto si porrà il problema degli stipendi. Abbiamo tutti quanti superato i cinquant’anni: sarebbe un problema finire in mezzo alla strada. Chiediamo un tavolo dove si discuta del nostro futuro”. I dipendenti della Moderna edilizia avevano proposto di costituire una cooperativa assieme ai dipendenti di altre aziende edili confiscate alla mafia, per gestire gli immobili confiscati , gran parte dei quali in cessione al Comune. Ma l’idea non ha finora avuto seguito.
IL CENTRO OLIMPO RINASCE GRAZIE ALLA COOP DEI SUOI 34 DIPENDENTI
Il Centro Olimpo di Partanna Mondello, ex punto vendita K&K (Aligrup) a marchio Despar, il 21 novembre, dopo circa un anno dalla sua chiusura, ha rialzato le saracinesche grazie alla tenacia di 34 ex dipendenti che hanno rilevato il centro commerciale. E gli oltre 6 mila metri quadrati dell’ipermercato, con la galleria di negozi, sono tornati a vivere con l’avvio di un’imprenditoria sana. I 34 ex dipendenti hanno fondato la "Cooperativa Progetto Olimpo", investendo come capitale i soldi della loro mobilità e ottenendo l'affitto di ramo d’azienda dalla curatela fallimentare della K&K, controllata di Aligroup, fallita nel 2012 e sottoposta a provvedimento di sequestro. E hanno ottenuto l'assegnazione dei locali già sequestrati alla Romana Costruzioni. Un percorso difficile, denso di ostacoli, ma caratterizzato da una forte voglia di riscatto da parte di questi lavoratori, sostenuti si dall’inizio dalla Filcams Cgil e dalla Cgil di Palermo e supportati da Lega Coop Palermo e Sicilia. E non è mancato nemmeno il supporto delle istituzioni, dal Comune di Palermo alla Prefettura al giudice delle misure di prevenzione, Silvana Saguto, che si sono impegnati per l'assegnazione in affitto dell'immobile. A Coopfond si deve un finanziamento di medio periodo, che ha coinvolto anche altri soggetti della strumentazione finanziaria cooperativa, tra cui CFI, UnipolBanca e Banca Etica. Tra i prodotti in vendita anche quelli con l’etichetta Libera Terra, delle cooperative che hanno reso produttivi i terreni confiscati grazie all’associazione Libera contro le Mafie. “E un'esperienza che avvalora e sostiene la legge di iniziativa popolare della Cgil 'Io riattivo il lavoro', che promuove proprio la ripresa dell'attività lavorativa nelle aziende sequestrate e confiscate. Per noi che siamo da sempre un sindacato impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata, - afferma la segretaria Filcams Cgil Palermo Monja Caiolo - la cooperativa Progetto Olimpo rappresenta un'esperienza che chiude veramente il cerchio della lotta per la legalità, avviata con il sequestro e l'amministrazione giudiziaria e conclusasi con l'avvio di un'imprenditoria sana. Onore a questi ragazzi che hanno avuto il coraggio e la tenacia di riattivare il lavoro”.
IL SEQUESTRO DELL’AZIENDA DI LATTICINI PROVENZANO, LA CHIUSURA IMPROVVISA DOPO 4 ANNI E I LICENZIAMENTI, NEL 2012
Quando chiuse i battenti nel 2012, dopo essere stata sequestrata alla famiglia mafiosa di Giuseppe Grigoli, prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro, fu un brutto segnale per la lotta alla mafia sul fronte della gestione dei beni confiscati alle cosche. Per l’azienda di latticini “Provenzano” di Giardinello, in provincia di Palermo, dopo 4 anni di amministrazione giudiziaria, nel 2012 è stata avviata la procedura fallimentare e alla porta sono stati messi i 39 dipendenti. Inizialmente i lavoratori impiegati erano 52 ma già 13 erano stati licenziati. Fu una conferma dei limiti della normativa per la gestione delle aziende confiscate alle cosche che, rispetto ai patrimoni e agli appartamenti confiscati, riscontrano gravi problemi di sopravvivenza dovuti all’accesso al credito e necessitano di manager competenti in grado di gestire le reti di distribuzione dei prodotti. Giuseppe Polizzi, 47 anni, per 16 anni al lavoro nell’azienda Provenzano, è uno degli ex dipendenti licenziati. “Siamo stati per quattro anni commissariati. Fino al sabato siamo stati al lavoro. E il giorno dopo, così, dall’oggi al domani, sono venuti a mettere i sigilli. Noi operai siamo stati presi in giro. Oggi facciamo quello che capita, lavori di muratura in campagna, piccole cose. La nostra speranza è tornare al lavoro nell’azienda. L’ex titolare sta provando a riaprire i battenti”.
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