Monopolio nell'allevamento e coltivazioni, sequestro da 2 milioni a Rosario Salvatore Lo Bue e al figlio Leoluca

di Ambra Drago
Sequestro di beni nei confronti di Rosario Salvatore Lo Bue e del figlio Leoluca , entrambi detenuti per mafia, per un valore complessivo di circa 2 milioni di euro. I beni sequestrati si trovano nella provincia di Palermo e sono costituiti da una abitazione, un magazzino, diciassette terreni, un mezzo agricolo, tre società, un fondo comune d’investimento, due polizza vita e venti rapporti bancari. In particolare è
 stato colpito il patrimonio occulto riconducibile anche alla moglie di lo bue, Maria Maniscalco e ai figli, Giuseppe, Enza e Leoluca.Per quanto riguarda Rosario Salvatore Lo Bue, questo è stato condannato nel 2001 ad anni 6 di reclusione per aver fatto parte della famiglia mafiosa di Corleone e nuovamente arrestato nell’indagine Perseo con l’accusa di aver diretto il mandamento. Il figlio, Leoluca è stato condannato nel 2017 alla pena di anni 10 di reclusione poichè ritenuto responsabile di estorsione aggravata ai danni di un’impresa edile ed associazione mafiosa. 
Il Tribunale ha disposto la sospensione dell’efficacia di licenze, autorizzazioni ed erogazioni da parte dello Stato e dell’Unione Europea, a norma del codice antimafia.
L’indagine patrimoniale, eseguita mediante l’incrocio di informazioni provenienti, da un lato, dall’Agenzia delle Entrate e, dall’altro, da varie banche nel settore agroalimentare, ha consentito di documentare il regime di monopolio mafioso nel quale la famiglia Lo Bue, anche attraverso l’impiego di prestanome ed in spregio di norme e regolamenti, operava, prevalentemente, nel settore agroalimentare, anche biologico e dell’allevamento del bestiame, beneficiando dei relativi contributi comunitari.

Gli investigatori hanno documentato che la famiglia Lo Bue si sia avvalsa negli anni dei prestanome corleonesi Biagia Duval e Marcello Antonio Mancuso, formali titolari di aziende agricole e di allevamento bestiame che hanno beneficiato di significativi aiuti comunitari, partecipando anche a bandi per piani di sviluppo rurale ed acquisti agevolati dall’ISMEA.

Attraverso tali aziende, la famiglia Lo Bue avrebbe continuato a tessere rapporti commerciali con numerosi esponenti mafiosi di Cosa Nostra, condizionando le regole del libero mercato nelle varie fasi della filiera alimentare, dagli acquisti dei capi di bestiame, alla macellazione ed alla loro commercializzazione presso la grande distribuzione.

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