Enza Nardi: Immigrazione

Cari lettori,
questa settimana vorrei soffermarmi su un argomento di attualità molto delicato che vede la società spaccarsi in due filosofie di pensiero: chi ritiene l’arrivo degli stranieri una risorsa da sfruttare e chi, invece, un’aggiunta al proprio svantaggio economico e criminale. Ciò crea spesso discussioni di facile incomprensione e difficile punto d’incontro. L’immigrazione è un tema che interessa il nostro paese, poiché si trova proprio sulla rotta dei flussi migratori dell’Africa e del Medioriente. Quotidianamente entriamo in contatto con immigrati e con numeri sempre più crescenti. Questo fatto, oltre che portarci interrogativi, ci mette in grave difficoltà su come affrontare tale situazione. Senza nascondersi dietro al buonismo, che non porta a nulla, serve fare alcune considerazioni fondamentali e importanti.
Senza dubbio lo straniero – chiunque esso sia o da qualsiasi posto arrivi, il più delle volte in condizioni disagiate –, con la sua presenza può mettere in discussione la nostra identità: porta con sé un altro mondo. Differenze che a volte facciamo fatica ad accettare.
Di conseguenza una delle reazioni più consuete che si riscontrano è la diffidenza, che spesso porta ad atteggiamenti razzisti. Certo, vedere individui provenienti da terre meno fortunate, che hanno affrontato lunghi e pericolosi “viaggi della fortuna”, ai bordi delle strade, accampati alla stazione o nei giardini pubblici, genera, oltre che degrado, una certa ansia perché siamo consapevoli di quanto la disperazione sia pericolosa. Non dobbiamo, però, ignorate il fatto che se un individuo decide di mettere a rischio la propria vita e quella della famiglia, è perché la terra natia li mette in condizioni di rischi maggiori: guerra o estrema povertà, come prima cosa, ma anche persecuzioni etniche, religiose, razziali, politiche e culturali, violazioni dei diritti umani. Fattori di spinta che presto potrebbero portarli alla morte o a un degrado ancora più evidente di quello che già vivono nel loro quotidiano.
Il terrorismo in Mali, le guerre che lacerano il paese nel Sudan, la povertà in Nigeria, i migranti dalla Tunisia e la repressione in Afghanistan, sono certamente un buon motivo per indurre migliaia di persone a girare le spalle per avventurarsi in percorsi sconosciuti. Dietro alla fuga di milioni di cittadini ci sono motivi che ignoriamo o non riusciamo ancora a comprendere, o peggio ancora rifiutiamo di comprendere. Molti sono disposti ad affrontare il loro “viaggio della speranza”, pur consapevoli che si possa trasformare in “viaggio della morte”. Non dimentichiamo gli infiniti corpi smarriti e inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. Dove insieme ai loro corpi si sono spenti speranze, desideri e futuro.
È facile puntare il dito e giudicare, criticare, biasimare, odiare chi appare inferiore, solo perché meno fortunato in quanto nato in una terra dove il sole per loro non brilla. Non dimentichiamo anche che al tempo del dopo guerra e successivamente ancora, gli italiani sono stati emigranti e quindi immigrati per altri paesi, in particolare America e Argentina, in cerca di migliori condizioni di vita. Ancora adesso le nostre “belle teste” sono in cerca di altri confini per crearsi un futuro migliore rispetto le prospettive che il nostro Paese possa offrirgli. Quindi c’è da chiedersi: “Se va bene per noi, perché non dovrebbe andar bene per gli altri?” Forse dovremmo tenere in considerazione un po’ di più gli studi fatti. Quelli in cui ci hanno fatto conoscere come i popoli da sempre si sono spostati da una parte all’altra del mondo. Chi ha il diritto di sentenziare che un individuo deve essere cittadino di un luogo piuttosto che un altro? Del resto tutti siamo cittadini del mondo.
Possiamo sapere dove nasciamo, ma non dove moriremo. È giusto che ognuno di noi abbia la facoltà di poter scegliere dove completare il proprio percorso di vita. L’Italia, pur avendo infiniti problemi di difficile risoluzione, è un paese accogliente. Questo fa onore al nostro Paese che tende la mano ai fratelli disperati. A livello umano sicuramente in pochi non saranno d’accordo nel voler aiutare chi ci chiede aiuto. Ritengo, però, che per darlo con coscienza, si debba pensare a come fare e a delle soluzioni. È inaccettabile che si faccia la parte di chi ospita e poi però non si prende cura degli ospiti, lasciandoli in balia di sé stessi e non dando loro ciò di cui hanno bisogno. È inaccettabile che si schiacci ulteriormente la dignità di individui a cui è già stato tolto tutto. La percentuale degli stranieri regolari corrisponde ancora solo al 2 per cento circa della popolazione totale. Tutto il resto, circa 600 mila persone da Nord a Sud vivono e lavorano “sommerse”, senza documenti e senza diritti, nelle nostre città Per il Sistema sanitario nazionale, sono “invisibili”, nel senso che non hanno un medico di base, né accesso ad alcun presidio sanitario. Se stanno malissimo, l’unica via è anche la più pericolosa: il Pronto Soccorso, proprio ciò che in tempi di pandemia andrebbe evitato. Tutto questo si contesta a chi apre le porte, l’accogliere tra noi anime “dannate” dalla disperazione. 600 mila è davvero un dato triste e sconfortevole che dovrebbe lasciar riflette sul perché ci si ritrova con gente che sceglie la via per delinquere in tutti i modi. Molti di essi non hanno altra scelta per non trovarsi sommersi oltre che dalla disperazione anche dalla terra che gli toglie ogni speranza di rivincita. Solo così capiremo che la cosa giusta non è solo aprire le porte, ma far trovare oltre l’uscio ciò che serve per riservare la loro dignità.




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