Sequestrati 300 mila euro a un boss del Borgo Vecchio. Sigilli a un bar e a un negozio

Tornato libero nel 2014, Michele Siragusa avrebbe aperto due attività intestandole a soggetti prestanome al fine di eludere, sottolineano dal comando provinciale della Guardia di Finanza di Palermo, l’applicazione delle misure di prevenzione, condotte per le quali nei suoi confronti, nel 2020, è stata emessa una nuova sentenza di condanna non ancora irrevocabile. Il Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha emesso un decreto di sequestro di 4 immobili, 2 imprese, esercenti rispettivamente l’attività di “bar” in via Principe di Scordia e di “commercio al dettaglio di mobili per la casa” in via Conte Ruggero, nonché di 5 conti correnti e 3 carte prepagate, per un valore complessivo di circa 300.000 euro, eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo. Il destinatario del provvedimento risulta tra i personaggi che hanno caratterizzato le vicende criminali dell’articolazione territoriale di Cosa Nostra, operativa nello storico quartiere palermitano di Borgo Vecchio, già a partire dagli anni ’80, come emerge dalle condanne passate in giudicato. Condannato nel 1999 alla pena di anni 6 mesi 6 di reclusione per associazione mafiosa in relazione a fatti commessi sino al 1982, nel 2011 è stato colpito da un’ulteriore sentenza di condanna ad anni 8 e mesi 10 per associazione mafiosa e tentata estorsione, in quanto ritenuto “soggetto di notevole calibro in grado di garantire l’efficienza dell’attività estorsiva in pregiudizio delle imprese locali ed alla raccolta del denaro provento da tale settore, funzionale al mantenimento in vita dell’intera organizzazione criminale”. Inoltre dalle indagini svolti dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo - G.I.C.O. unitamente ai finanzieri della locale Sezione di Polizia Giudiziaria, avrebbero evidenziato una significativa sproporzione, pari ad oltre 471 mila euro, tra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati nel tempo.

"Il Tribunale ha quindi ritenuto che gli immobili acquistati, le attività economiche avviate e le giacenze sui rapporti bancari, incompatibili con l’accumulo di risparmi leciti nella disponibilità del proposto, rappresentino il frutto delle attività illecite esercitate o il reimpiego dei relativi proventi".

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