Iva Marino è una psicologa
clinica ed esperto in Scienze forensi e Criminologiche. Lavora a Palermo e da
anni si occupa di psicopatologia post-moderna, vittimologia e disagio psichico.
Ha prodotto diverse pubblicazioni, collabora con l’Università di Palermo e
svolge attività di consulenza per alcune
testate giornalistiche. E’ coordinatrice
dello studio PsicoLogicaMente. Approfondiamo oggi il concetto
della “sicurezza”, in un tempo che
potremmo definire dell’ incertezza e
dell’imprevedibilità, dovuti alla
pandemia da corona virus e in un contesto nel quale siamo sommersi da messaggi
contraddittori e spesso allarmanti, non vagliati talvolta con accuratezza
(infodemia).
1.Dottoressa Marino, come
possiamo definire oggi la società ai tempi del Corona virus?
L’umanità si trova a sperimentare
la propria “impotenza” di fronte ad un nemico invisibile, la diffusione di
un’epidemia come quella di coronavirus ha colto la popolazione in maniera
imprevista, con conseguenze importanti
sulla società contemporanea e lo sviluppo di sentimenti di rabbia,
invidia, solitudine. La nostra comunità ha inseguito con esasperata
determinazione il sogno di una longevità garantita. Si e’ affermata la
convinzione che la morte sia un evento che riguarda solo la terza età. Oggi non
e’ cosi.
I media, inoltre, presentano abitualmente ogni
decesso come espressione di un’imprudenza, una colpa o un disservizio da
attribuire ora ai medici, ora agli amministratori, ora ad alcuni gruppi sociali
arretrati e oscurantisti. La nostra epoca ha creduto di mettere la morte alla
porta, ma da Wuhan la globalizzazione ci riporta indietro di un secolo..
2. Cosa si intende per senso di sicurezza?
Dottoressa Marino: Nel ventre
materno ci sentivamo sicuri e protetti;
sebbene il senso di sicurezza sia ai molti cosa nota, risulta difficile
definirlo ma scientificamente bisogna
focalizzarsi soprattutto sul concetto di accoglienza.
L’accoglienza e’ il contenuto portante per giungere alla definizione di
sicurezza. Il sentirsi “accolti”,
specificatamente “riconosciuti” procura uno stato affettivo di
benessere.
3. Piu’ approfonditamente,
partendo dalla clinica, di che cosa parliamo quando si parla di sicurezza?
Dottoressa Marino: Parliamo delle
“relazioni”. Se in questo nostro tempo non siamo capaci di vivere “pienamente e veramente” relazioni significative svilupperemo poca
iniziativa e capacità di “muoverci nel mondo”. Senza le relazioni lo sviluppo
dell’essere umano manca di qualcosa, come se in fondo fossimo forniti di quello
che Porges chiama “codice
di amore neurale”, che ci caratterizza come esseri umani e ci da’ profondita’ e
complessita’. E’ nell’essere in relazione che l’uomo sviluppa un
atteggiamento verso la realtà il piu’ possibile aperto, curioso, assertivo,
sano. La cura di fronte al contagio sembrerebbe essere proprio la relazione,
l’empatia, l’attenzione per l’altro, mentre oggi questo nemico implacabile
(Covid 19) ci procura sensazioni di angoscia e di pericolo. In questa direzione
sforziamoci di stare connessi “mente e corpo” e proteggere comunque le nostre
relazioni.
4. Dottoressa “stare connessi
mente e corpo”, cosa possiamo fare?
Dottoressa Marino: Imparare ad
ascoltare il corpo. Non siamo abituati a ritornare a uno stato di calma quando
percepiamo stress. Anche in queste situazioni dovremmo permettere al nostro
corpo di vivere situazioni di allentamento tensivo e di sicurezza, trovando
momenti di recupero per costruire la nostra resilienza soggettiva e contribuire
a quella collettiva. Ci spostiamo tra altri due poli, stato di sicurezza e di rischio
cercando di costruire qua il recupero del nostro equilibrio, il respiro
consapevole; usiamo il respiro come un’ancora e concentriamoci sulla frequenza.
5. In che modo ci poniamo di
fronte al rischio reale o percepito? Cosa succede quando percepiamo un rischio?
A questa domanda si può
rispondere facendo riferimento alla Teoria Polivagale di Stephen Porges, in
particolare con il concetto di Neurocezione, utilizzando la filogenesi e la
storia della nostra evoluzione. Questo ci aiuta a comprendere in che modo la
situazione del Covid-19 possa agire sulla nostra regolazione fisiologica ed
emotiva e sulla nostra soggettiva e collettiva percezione del rischio. Il
nostro sistema nervoso risponde allo stress ed al pericolo secondo
un’organizzazione gerarchica che corrisponde agli stadi che abbiamo
attraversato nel corso dell’evoluzione: immobilizzazione, mobilitazione,
ingaggio sociale. Approfondiamo: immobilizzazione e’ la via reattiva difensiva
più antica, rispondiamo alle nostre paure e ai traumi attraverso il
congelamento, l’anestesia emotiva ed uno spegnimento funzionale; mobilizzazione
più congeniale e più comune in questi giorni di Covid-19. In questa attivazione
rispondiamo prevalentemente con il sistema nervoso simpatico, cioè ci
mobilizziamo di fronte a un pericolo collettivo percepito e reagiamo o con
risposte “mobili” o di cosiddetto attacco-fuga, che attiviamo sempre quando
sentiamo di dovere garantire la nostra sopravvivenza; infine, l’ingaggio
sociale, e’ la risposta più evoluta del nostro sistema nervoso, si
manifesta quando siamo in uno stato di sicurezza e di connessione con gli altri
e con il contesto. L’ingaggio
sociale permette di sentirci veramente ancorati
ed in comunicazione con gli altri.
6. Allora Dottoressa in
conclusione quale è la direzione da seguire?
Probabilmente coltivare il pensiero
desiderante, che potrebbe avere delle
ricadute positive perché’ sostiene una motivazione alla realizzazione di scopi
raggiungibili, e li, dove esso non lo sia immediatamente, aiuta a tollerare
attesa e frustrazione e, addirittura, a pianificare strategie. Potremmo
“desiderare” di coltivare questo tempo, in attesa di un vaccino, credo ormai
prossimo, in maniera sana, arricchendo
l’esperienza con azioni efficaci e resilienti. Ma soprattutto, aggiungo,
“coltivare” un senso di sicurezza e consapevolezza
del momento, respingendo, comunque, la
prospettiva negazionista, il virus
esiste, eccome.
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