Enza Nardi - Rispetto: L’Altro Fuori di me, come possibile me

Care amiche e cari amici, l’argomento che questa settimana mi sento di trattare ha a che fare con qualcosa che ormai sembra non appartenere più alla maggior parte degli individui: rispetto. Una parola che ultimamente viene meno in ogni ambito: familiare, lavorativo, sociale. Termine pronunciato dalle bocche di tutti e tutti pensano di metterlo in atto, attribuendo agli altri, invece, l’omissione. La mia idea personale è che forse in molti, se non moltissimi, neanche ne conoscono più il significato. Il rispetto non è qualcosa di scontato. Si conquista ogni giorno, si ottiene con gentilezza, con reciprocità e con quella volontà autentica di chi capisce che rispettare è, sopra ogni cosa, saper costruire. È curioso notare come tutti sanno definirlo, sanno quali sono i suoi principi e, tuttavia, sono pochi ad applicarli in modo corretto nella vita di tutti i giorni.
Il problema alla base del rispetto in quanto tale risiede nel fatto che tutti vogliamo riceverlo, ma ci dimentichiamo di dimostrarlo prima a chi abbiamo davanti. È come se, in qualche modo, dessimo la priorità al “rispettami e allora ti rispetterò”. Quindi comincerò col ricordare a coloro che l’hanno dimenticato o fingono di non ricordarlo, il significato. Rispettare riprende il verbo “guardare”, quindi possiamo dire che rispettare vuol dire saper guardarsi intorno con l’atteggiamento che favorisce relazioni adeguate e soddisfacenti tra le persone. Esso è necessario per una convivenza senza conflitti, in cui si accettano le differenze altrui. Non è una cosa tanto semplice, soprattutto nei giorni d’oggi dove tutto è dovuto e l’egoismo fa da padrone nelle nostre vite. Diventa ancor più difficile quando si vuole avere a tutti i costi ragione e si è convinti che la propria convinzione consiste nell’unica verità. È importante capire che la nostra posizione non è che una semplice possibilità tra le altre. Si devono sempre esprimere le proprie opinioni e i propri punti di vista, ma non come delle “leggi di verità assolute”. Come prima cosa, per riuscire a far parte di quella categoria capace di mettere in atto questa “azione”, dobbiamo capire che rispetto non è solo buona educazione o deferenza. In altre parole: non è una questione di forma, ma di sostanza. È empatia. Ovvero capacità di guardare “l’altro fuori di me”, come un “possibile me”. Nessuno potrà mai dimostrare un rispetto autentico se non applica un’empatia vera, vicina, intuitiva e sincera. Quando ci dirigiamo agli altri e lo facciamo attraverso l’empatia, ciò comprende l’ascolto e l’osservazione delle posizioni degli altri. Appare un concetto contorto, ma se lo analizziamo bene non lo è. Bisogna solo porsi una domanda, dopo aver fatto alcune considerazioni. Ecco qualche piccolo esempio. - “Sono nato maschio, ma potevo nascere femmina - e viceversa. Come mi sentirei se mi trattasse così?” - “Sono nato sano e forte, ma potevo nascere fragile o malato. Come mi sentirei se...?” - “Sono nato in una famiglia ricca ma potevo nascere in una famiglia povera. Come mi sentirei se...?” Una domanda che si potrebbe adattare a qualsiasi altra circostanza che mette in evidenza una diversità rispetto noi. Il “come mi sentirei” è il pensiero chiave dell’empatia. Pertanto è fondamentale inculcarlo nella mente fin da bambini. Bisogna far sviluppare questo punto di vista prima che attecchiscano nei loro pensieri tutti quegli stereotipi di potenza, invadenza, corrosivi che, dobbiamo dire con sincerità, provengono dal mondo adulto. Adulti che si creano stereotipi sulle differenze che riguardano il genere, l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica e religiosa, decisioni o stili di vita. È proprio durante il periodo dell’infanzia che si costruiscono le basi di una mente sana e di un cuore leggero. Alcuni comportamenti degli adulti lasciano un’impronta indelebile nella loro vita: a volte positiva, a volte negativa, ma sempre e comunque profonda. Quindi quegli stessi atteggiamenti si trasformeranno nel seme della mancanza di rispetto che crescerà nella mente del bambino. Pertanto è fondamentale educare a “de-strutturare” quelle griglie ideologiche sbagliate, altrimenti non si educa, ma si somministrano solo nozioni o si impartiscono leggi. Ed ecco che la mia deformazione professionale, ancora una volta sgomita. Il ruolo della scuola è fondamentale: a questa istituzione spetta, anche, il compito difficile di “mettere in discussione”, ciò che le famiglie poco attente non riescono a trasmettere ai figli. Quindi dovrà lavorare in modo incisivo sulla mente dei bambini per sviluppare quella sensibilità necessaria per diventare futuri cittadini rispettosi. Parlo, semplicemente, di dotare i bambini di risorse ed esperienze esistenziali e umane che li renderanno adulti aperti, intelligenti, emotivamente maturi e creativi, ovvero adulti capaci di essere liberi e di lasciare liberi gli altri. Una cosa importante da sottolineare, però, è che non bisogna mai scambiare l’atteggiamento rispettoso con il servilismo o addirittura una debolezza di cui approfittare. Tutte queste impronte che restano impresse durante la nostra crescita ci accompagnano per il resto della nostra vita. Molto spesso rappresentano la differenza tra una vita sana a livello mentale ed una vita dominata dai conflitti. 

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