"La fiera delle illusioni", recensione del film

di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, scrittrice
La Fiera delle illusioni, Nightmare Alley, un intenso e coinvolgente film del regista messicano Guillermo del Toro con Bradley Cooper nel ruolo di Stanton “Stan” Carlisle, il circense manipolatore, e Cate Blanchett in quello di Lilith Ritter, la psicoanalista amante e vendicativa. Poche e semplici indicazioni iniziali per un film intriso di mistero, cambi di scena e personalità, domande esistenziali, Verità scomode, ma salvifiche. La trama è altamente intrigante e poliedrica: un giovane criminale, appunto il talentuoso Cooper, intrattiene una relazione sentimentale con una psichiatra, una bionda e conturbante Blanchette. La donna è però una manipolatrice corrotta che, a un certo punto, comincia ad ingannare anche lui, in un film senza esclusioni di colpi che ha ottenuto quattro candidature a Premi Oscar. Nel dettaglio il film si estende in due fasi ben distinte, tre in realtà, se contiamo l'epilogo e il destino parabolico di Stan. Ci troviamo negli Stati Uniti d’inizio anni ‘40: Stan, uomo senza averi e dal passato doloroso, si unisce a un luna park ambulante, dove impara i trucchi del mestiere, definendosi fino alla fine un ”giostraio spiritista”. Sedotta la giovane Molly, il cui numero consiste nel resistere alle scariche elettriche che le attraversano il corpo, parte con lei verso la grande città.
Pieno di ambizione, avidità, volontà di potenza e desiderio imperioso di riscatto da un passato buio e violento trasforma se stesso nel Grande Stanton, indovino e sensitivo, affermato spiritista, che, con il suo numero di pseudo occultismo, seduce uomini ricchi e potenti e li convince di poter comunicare con i loro morti, dietro laute elargizioni di denaro. Questa la traccia essenziale della pellicola di del Toro che si spalma per 150 minuti di sofferenza, morte, amore malsano, ma anche amori teneri e passioni magiche e pericolose, illusioni di sfuggire a se stessi e alla propria precarietà esistenziale che si infrangeranno miseramente scoprendo la propria pochezza umana e la necessità di accettare le proprie imperfezioni e le “brutture” altrui per non decadere paradossalmente nelle stesse brutture evitate e rinnegate. Due fasi nel film, se escludiamo un epilogo destabilizzante, due film sembra quasi di vedere da spettatori, addirittura la parvenza di trovarsi di fronte a due pellicole diverse, con la prima tappa in un circo illuminato e rurale.
Il circo, un ambiente pieno di fascino dove vige la finalità di raccogliere pubblico entusiasta, un ambiente di particolare suggestione dove agiscono i protagonisti acclamati, fino al momento in cui dal circo ci si sposta verso il cambio principale di scena, in seguito alla scelta di Stan di divenire imbonitore, coadiuvato dall’avvenente psichiatra Lilith Ritter. Due note in questa prima fase del circo, l’interessante lezione del maestro circense su come eseguire i numeri migliori e il riferimento all’Uomo Bestia, un povero diavolo quasi impazzito, attrazione principale del circo che Stan ha il compito di addomesticare e chiave di volta dell'epilogo a forte impatto emotivo. E ancora l'Amore per Molly, una donna del circo, lo sbirciare il manuale del maestro per carpire i segreti dei numeri e il rimprovero del maestro stesso in nome della non menzogna e di una vita senza scheletri. Un primo ampio spaccato, forse eccessivo, costituito da attrazioni da circo sullo sfondo di ruote panoramiche e spazi verdi, al suono accogliente delle parole "Qui è possibile guardarsi allo specchio". Siamo giunti a questo punto al momento del film in cui si assiste all’irruzione nel circo di uno sceriffo e all'invito a non imprigionare i circensi, accusati di oltraggio al pudore, in nome della madre dello sceriffo stesso che avrebbe voluto comunque misericordia per gli altri esseri umani. Una suggestione di un già promettente manipolatore, anteprima di un cambio di vita radicale e del passaggio verso un uomo avido, calcolatore, traditore, con una paura atavica della sconfitta, dell'impotenza e della Verità limitante. Da qui il cambio di vita, di città e di scena, con uno Stan autore di uno spettacolo di spiritismo che riscuote un così forte successo da suscitare le richieste di consulto di un giudice milionario, il potente Ezra Grindle, per trarre conforto, tramite la mediazione della psicologa-amante Ritter. Un conforto falso e calcolato, sostenuto dalla scelta di fare un patto con la psicologa che suona così: grazie alle informazioni sui suoi pazienti che la donna è in grado di dargli, finge di mettersi in contatto, dietro lauto compenso, con gli spiriti dei defunti a loro cari. Un giocare sulle paure e le colpe, da parte di Stan, nei seguenti termini: il giudice ha fatto abortire la donna amata, atto sacrilego, imperdonabile, fonte di disperazione cieca, quindi occasione ghiotta per spillargli soldi, tanto più se si tratta di un paziente della fidatissima Ritter. Tanti, molti, troppi soldi, con la richiesta precisa però, da parte del milionario inconsolabile, di rivedere la compagna seppur in forma fantasmatica, in un gioco sporco, disonesto, di cui la moglie di Stan è allo scuro. Molly ignara, eppure Molly complice: sarà a lei infatti che Stan chiederà con disperazione di inscenare una patetica farsa per simulare la comparsa della compagna del giudice, intascare i soldi (nel frattempo ben custoditi dall’amante-complice, che rinuncia con classe alla sua parte) e smettere ogni imbroglio, in nome dell'amore per una famiglia semidistrutta dalla sete di potere. D’altronde l’amante complice lo sostiene, o forse no?! Intanto la messinscena deve avverarsi, Dory, la defunta del giudice benestante, ricomparire, ma niente andrà più nel verso giusto. Morti, spari, inganni, miserie, decadenze, soldi mai riscossi dal manipolatore Stan ricoprono la seconda parte di questo film di 150 intensi minuti, in cui lo spiritista verrà infine abbandonato dalla moglie, truffato dalla complice e dalla propria volontà insaziabile di potere e supremazia, piccolo uomo attaccato ai soldi immensi e miseri, che falsamente la Ritter aveva finto di non trattenere per la propria parte, per poi consegnare al complice una parte miserabile del bottino, in una vendetta ben congegnata, sulla scia di una ferita infantile mai sanata che Stan ha avuto il potere di riaprire. Un epilogo in cui regnano sovrani il fuoco e l’odio, per una trama assolutamente da gustare in prima persona. Un epilogo triste e immeritato per ogni essere umano la terza fase della pellicola, una fine da ubriacone quella di Stan, abbandonato, barbone trasandato, reietto sociale, prima del ritorno al circo da esperto giostraio e l’ottenimento di un lavoro temporaneo, non certo equiparabile alla maestria della prima fase. Un lavoro non comune e non auspicato, l’ultima delle ambizioni e fonte didascalica di insegnamento: ecco affibbiatogli il ruolo perfetto di Uomo Bestia, addomesticato, manipolato, oggetto della potenza altrui, in una discesa agli inferi di chi ha perso tutto per un’avidità senza fondo, scandita dalle proprie risate stridule e dalle lacrime, perché, come dirà Stan in chiusura del film - Io sono nato per fare l’uomo bestia - In fondo, suggerisce La Fiera delle illusioni, questa è la sorte di chi anela alla volontà di potenza senza fare i conti con i propri fantasmi interiori e le proprie profonde paure. Stan, da manipolatore a manipolato, da dominatore a dominato, in una macabra danza in cui regna la figura ingombrante di un padre odiato fino alla morte, nella cornice del fuoco che accompagna la prima e l’ultima scena del film, come un libro che si chiude idealmente. Un Uomo Bestia, un fallito, lo stesso che lo Stan giostraio doveva tenere a bada nel circo durante i tempi aurei della professione circense, un Uomo miserabile la cui avidità, volontà di dominio e presunta scaltrezza diventeranno la causa di un radicale fallimento di vita e di un abbruttimento che ricalca quello paterno, in un gioco freudiano in cui si arrivano puntualmente ad attirare proprio le paure da cui si rifugge. Un film, La Fiera delle illusioni, da leggere come interessante parabola prima ascendente e poi discendente di un uomo persuaso di poter riscrivere il suo destino controllando le menti degli altri, ma ignorando la propria, fino ad arrivare a sperimentare su di sé il carattere reversibile della manipolazione, passando da soggetto che la agisce sugli altri a oggetto che la subisce. Un monito esemplare a non indulgere in un atteggiamento simile, rivolto, come ogni spettatore noterà, in un brivido costante che serpeggia per tutto il film, a ciascuno di noi.

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