L’ anniversario dell’omicidio del Procuratore Scaglione sarà ricordato il 5 maggio con un convegno su Mafia e Antimafia nel dopoguerra e negli anni 50

Il 5 maggio del 1971, in via dei Cipressi, a Palermo, fu ucciso - con il fedele agente Antonio Lorusso - il Procuratore capo della Repubblica, Pietro Scaglione, definito  anche in sentenze irrevocabili – “magistrato integerrimo, dotato di eccezionalicapacità professionali e di assoluta onestà morale, persecutore spietato della mafia, le cui indiscusse doti morali e professionali risultano chiaramente dagli atti”.
Il cinquantunesimo Anniversario del delitto sarà ricordato giovedì 5 maggio nell’ambito del convegno “Mafia e Antimafia nel dopoguerra e negli anni cinquanta”, organizzato dai familiari, dalla Fondazione Società siciliana per la Storia Patria e dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (sezioni di Sicilia e di Palermo).
A conclusione dei lavori, nel salone di Villa Adriana, gli invitati potranno visitare la Mostra internazionale “Inquisitio Contra Haereticos. I Processi dell’Inquisizione a Streghe, Eretici e Società Segrete”, premiata con la Medaglia del Presidente della Repubblica, inaugurata il 4 dicembre scorso e dedicata alla memoria dei due eroici Caduti. 

Al Convegno – introdotto dai professori Giovanni Puglisi e Antonio Scaglione - interverranno anche il Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Cinzia Calandrino, il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, Clelia Maltese, il giornalista Franco Nicastro (consigliere dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia), il Presidente dell’Associazione giuristi democratici di Palermo, Armando Sorrentino, il professor Francesco Callari (docente di Ordinamento giudiziario nell’Università di Palermo) e il regista Ottavio Terranova (Coordinatore dell’Anpi- Sicilia e Presidente dell’Anpi Palermo).
Nello stesso giorno ad Antonio Lorusso sarà dedicata l’Aula bunker del carcere di Trani.Entrato in magistratura nel 1928, Pietro Scaglione “dimostrò indipendenza di giudizio anche durante il ventennio fascista” (come scrissero anche i giornalisti Enzo Perrone e Rosario Poma nel volume “La mafia: nonni e nipoti”, Vallecchi, Firenze, 1971).

Nella sua lunga carriera di giudice e pubblico ministero, si occupò dei più gravi
misteri siciliani, per accertarne la verità e assicurarne i colpevoli alla giustizia, impegnandosi anche attivamente in difesa dell’autonomia dei magistrati dal potere
esecutivo. In particolare, con riferimento alla strage di Portella della Ginestra del primo maggio del 1947,il Pubblico ministero Pietro Scaglione, nel 1953, definì l’uccisione dei contadini come un “delitto infame, ripugnante e abominevole” e accreditò come principali moventi: la “difesa del latifondo e dei latifondisti”; la lotta “ad oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che allontanavano i banditi dalle campagne.

Negli anni cinquanta, si occupò degli assassini di diversi sindacalisti, da Placido
Rizzotto a Salvatore Carnevale. Nella requisitoria del 1956 sull’omicidio Carnevale, il pubblico ministero Scaglione esaltò la figura della vittima e le lotte contadine, parlò di “febbre della terra” e scrisse che l’attività di Carnevale era temuta da coloro che avevano interesse al mantenimento del sistema latifondista e del potere mafioso.

Assunta nel 1962 la carica di Procuratore della Repubblica di Palermo, promosse con il giudice istruttore Cesare Terranova, dopo la strage di Ciaculli del 1963, una
efficace repressione della mafia, a seguito della quale Cosa nostra fu scardinata e
dispersa e fu addirittura sciolta la Commissione provinciale.
Il magistrato avviò, anche, numerose inchieste a carico di politici, di amministratori e di colletti bianchi, come risulta dagli atti giudiziari, dalle sentenze e dalla testimonianza del giornalista Mario Francese (ucciso nel 1979). Come scrisse Francese, infatti, “Pietro Scaglione fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la linea Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”. Il grave riacutizzarsi del fenomeno mafioso, negli anni 1969-1971, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ......hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica” (Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).Scaglione si occupò anche della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro nel settembre del 1970. L’intervento di Scaglione fu “attivissimo” come è stato accertato
in sede giudiziaria e come dichiarò, anche, la moglie del giornalista scomparso nel
periodico “La Domenica del Corriere” del 13/6/1972.

Il Procuratore Scaglione svolse altresì, con impegno e dedizione, la funzione di
Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della Giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.

Le causali dell’omicidio del Procuratore Scaglione e della precedente scomparsa del giornalista Mauro De Mauro – come lo storico Francesco Renda scrisse - erano
“inequivocabili”: <<Si trattava di una ripresa del terrorismo mafioso tipo 1946-
1948, non più, però, contro dirigenti sindacali e politici del mondo contadino, bensì
contro la stampa e un corpo essenziale dello Stato, come l’organo giudiziario>>
(Storia della mafia. Come, dove, quando, Palermo, Sigma edizioni, 1997, p. 374).
In questo contesto, <<l’uccisione di Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica
di Palermo>> - come affermò a sua volta Giovanni Falcone – aveva, comunque, <<lo scopo di dimostrare a tutti che “Cosa nostra” non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino>> (in Interventi e proposte, Sansoni, 1994, p. 310; e in La Posta in gioco, edizioni Bur, Rizzoli, 2011, p. 320).

Ed ancora, <<a partire dagli anni settanta – come Paolo Borsellino affermò (in La
Sicilia, 2 febbraio 1987, p. 1 e in L’Ora, 2 febbraio 1987, p. 10) - la mafia condusse
una campagna d’eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa.

Le cosche sapevano che erano isolati, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la
loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione>>.

Infine, con Decreto del Ministero della Giustizia, previo parere favorevole del
Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.

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