Il discorso di insediamento
di Sergio Mattarella ha definitivamente fugato ogni possibile timore che si
potesse trattare di una presidenza "strumentale", in funzione di
obiettivi politici effimeri.
Il neo-Presidente ha fornito una ferma e coerente rappresentazione di se, della
sua cultura politica ed etica cattolica, senza indulgere a sostenere questa o
quella causa di parte, meno che mai il Governo.
Anzi, ha sottolineato la funzione del Parlamento, precisando, da fine giurista
e costituzionalista, il ruolo complementare ma ben distinto dei poteri e degli
organi della Repubblica.
Questa interpretazione "normale" e classica del nostro equilibrio
costituzionale è il primo importante risultato della sua elezione, quello di porre
fine alla confusa straordinarietà e provvisorietà della cosiddetta seconda
Repubblica.
Per questo Mattarella ha elencato puntualmente gli obiettivi fissati dalla
Costituzione, attualizzandoli e indicandoli come obiettivi prioritari per
tutti, dal Governo alla comunità nazionale.
Ha dimostrato così di mantenere una visione storica, distaccata dalle
contingenti dispute fra gruppi e sottogruppi, proprio come Aldo Moro, maestro e
riferimento del fratello Piersanti (Sergio allora era uno schivo docente e presidente
dell'Opera universitaria di Palermo).
Con Mattarella si risolve la "forzatura" della storia della
Repubblica e della Costituzione, con la quale si credette di superare una crisi
politica e morale brandendo la scorciatoia giudiziaria, dimostratasi
peggiorativa proprio per voler gettare via l'acqua sporca con tutto il bambino.
Mattarella rappresenta quello che di buono andava e va ancora recuperato e
valorizzato della Costituzione e delle culture politiche che le avevano dato
vita, ancora attuali e da riproporre, aggiornate, alle nuove generazioni,
spesso disorientate proprio dallo smarrimento di quei valori.
Di questo ruolo della Politica, capace di indirizzare e dirigere il corso della
storia, Sergio Mattarella ha avuto sempre alta e piena consapevolezza.
Testimonio per tutti un episodio poco noto ma significativo di quando era
entrato da poco nell'agone politico (che solo Felice Cavallaro ha ricordato sul
Corriere della Sera) e che vissi personalmente: al congresso regionale della
Democrazia Cristiana di Agrigento del 1983, quando il grande mediatore e
proconsole della DC siciliana Nino Gullotti propose la lista unitaria di tutte
le componenti per l'elezione del comitato regionale, i diversi gruppi della
minoranza di sinistra si riunirono e furono concordi - Nicolosi, Mannino e la
mia piccola (in Sicilia) "Sinistra di base"- sulla proposta di Sergio
Mattarella di escludere l'allora potente e temuto Vito Ciancimino.
Fui incaricato io (forse perché ero il più giovane) di notificare al congresso
la nostra decisione di presentare in caso contrario una lista separata.
Gullotti capì ed escluse Ciancimino.
Da quel momento la storia della DC siciliana, che aveva già dato un pesante
contributo anche di sangue con Piersanti Mattarella, si distanziò definitivamente
da presenze conniventi con interessi e poteri incompatibili, che vennero così
isolati e perseguiti.
Iniziò così un periodo di grande cambiamento della Sicilia che, con la
presidenza di Rino Nicolosi (inspiegabilmente ignorato dai media come partner
principale) e con la stagione dei giovani sindaci di Palermo, Catania, Siracusa
etc., indicò all'intera DC ed al Paese la via del rinnovamento, fornendo un
determinante appoggio alla segreteria di De Mita, che intuì le doti del giovane
Mattarella valorizzandolo al Governo.
Accadde il fenomeno che sta ripartendo oggi con Renzi e che allora non si poté
completare per la frettolosa rozzezza del PCI e di alcune “caste” nel
sostituirsi alla DC per gestire il vecchio potere e non per rinnovarlo.
I principi ispiratori di quel percorso e gli obiettivi coerenti già presenti
nella Costituzione, fermamente ribaditi nel discorso di insediamento del
Presidente della Repubblica, sono tuttora quelli validi per uscire finalmente
da una crisi di valori durata un ventennio.
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