Un prefetto siciliano contro le 'Ndrine calabresi in Emilia. Dopo le prime condanne le analisi di un fenomeno silente


di Ambra Drago
Cinque anni di indagini dal 2010 al 2015 e poi 220 imputati di cui ben 54 per associazione mafiosa ( gran parte di loro ha scelto il rito abbreviato mentre solo in 19 il patteggiamento), oltre 400 milioni di beni sequestrati, 119 condanne su 148 imputati ma anche 50 rinvii a giudizio per falsa testimonianza.Un lungo percorso investigativo e giudiziario che ha portato a far si che l'Emilia scoprisse che la 'Ndrangheta con i suoi ampi tentacoli era riuscita negli anni a imbrigliare l'intero territorio.
Un'organizzazione verticistica (come Cosa Nostra), nel caso specifico in Emilia guidata da Nicolino Grande Aracri. Ma a fare da contraltare all'intero sistema, come svelato da un imputato che poi ha deciso di collaborare con la giustizia, ci sono i "mondi", ben quattordici famiglie o 'Ndrine che negli anni si sono insediate a Reggio, tutte sono di fatto sullo stesso livello e con uguali "poteri".Un meccanismo basato su stretti rapporti tra le 'Ndrine da anni presenti a Reggio Emilia e il mondo politico e amministrativo. Di fronte al fenomeno criminale, una donna siciliana, Antonella De Miro, all'epoca dei fatti prefetto del capoluogo emiliano, non  ha esitato attraverso l'unico strumento che lo Stato le ha al momento attribuito, il potere di interdittiva a sfidare non solo l'associazione mafiosa calabrese ma anche il sistema corruttivo che ormai era diventato la normalità in una Regione che non pensava di aver dentro di sé il virus della criminalità organizzata.
"A Palermo non vedono in me solo un prefetto, sottolinea Antonella De Miro- ma un punto di riferimento ed è per questo che ho deciso di parlare qui di una pagina della storia italiana. Quello che ho fatto a Reggio Emilia è stato accompagnato da un percorso di formazione e informazione. Il percorso è stato complesso. Ho dovuto querelare Enrico Colajanni per le falsità dette nei miei confronti”. Colajanni è uno dei leader del movimento antiracket,( l’animatore di “Libero futuro” che l’anno scorso il prefetto De Miro ha cancellato dall’albo delle associazioni antiracket perché ritenuto ad ambienti mafiosi o a soggetti comunque contigui)".Parlare del processo Emilia non solo conoscere una pagina di storia ha voluto ribadire il prefetto, alla platea di Palazzo Steri, ma anche tenere l'attenzione alta verso il fenomeno delle mafie sempre più improntate ad agire sotto traccia in modo silente.


"Leggendo il libro di Bonacini- sottolinea Salvatore Cusimano- direttore della sede Rai Sicilia- ho avuto l'impressione di riavvolgere un film, mi ha ricordato la Sicilia degli anni 80' quando la mafia veniva negata fino al momento in cui non c'è stato il Maxi Processo. Il prefetto De Miro ha ricevuto lo stesso trattamento che all'epoca ebbero i nostri magistrati. Nel caso Emilia addirittura un questore, era il 1983, aveva incominciato a segnalare l'arrivo di 'ndranghetisti ( come manovalanza nelle imprese edili prima di affondare le loro radici in affari sempre più grandi) e ne aveva chiesto l'allontanamento per strane commistioni, ma non servì a nulla. Insomma un meccanismo anche conosciuto da noi, qui in Sicilia. Siamo di fronte a una società che si è consegnata al malaffare- conclude Cusimano- con la complicità di esponenti della politica e delle professioni. E poi, solo un pezzo di Stato ha lottato il crimine organizzato; un altro pezzo ha trattato".
Un'analisi sulle mafie e sulla potenza attuale di quella calabrese, che ha preso spunto dalla presentazione proprio del libro del giornalista Paolo Bonacini dal titolo “Le centro storie di Aemilia – il più grande processo italiano alla ‘Ndrangheta” (Editrice Socialmente).
"Il processo ci ha aperto sicuramente degli scenari precedenti (facendoci prendere consapevolezza dell'esistenza della 'Ndrangheta anche da noi) ma anche successivi consegnandoci altresì la certezza di non esseri immuni dal fenomeno della criminalità organizzata. 
Una mafia che nel tempo dall'edilizia  si è specializzata offrendo servizi. Una 'Ndrangheta, come ha detto un collaboratore di giustizia, Antonio Valerio ( uomo colto dell'organizzazione che in carcere legge Platone) è al passo con i tempi, che non usa più il rito dell'affiliazione come metodo arcaico. Quasi tutti gli imputati hanno giocato in fase processuale sul fattore discriminazione dei cutrunesi da parte della società emiliana, come se negli anni  fossero stati solamente sfruttati, per giustificare il loro comportamento nel vano tentativo di estraniarsi dall'organizzazione. Al di là di tutto ciò mi piace concludere con una frase del pm  Marco Mascolini (presente in sala) che durante la requisitoria ha detto: "In questo processo non è stato il mafioso a cercare l'imprenditore ma  l'esatto contrario". Ecco questa è la chiave per capire cosa c'era alla base del sistema".
Al tavolo della Sala delle Capriate ci sono anche il procuratore generale di Reggio Calabria Dino Petralia e il presidente della Corte d’appello di Palermo Matteo Frasca e non poteva mancare il padrone di casa, il reattore dell'Università di Palermo, Fabrizio Micari.
"C'è bisogno di conoscenza e di confronto su queste tematiche- sottolinea il Rettore-e questo tipo di eventi vanno supportati ed è importante che si faccia all'università perchè per risolvere queste problematiche ci vuole sia la repressione da parte delle Forze dell'ordine e della magistratura ma ci vuole anche formazione e educazione ai valori, al rispetto dell'altro e non della sopraffazione e a questo deve pensare anche l'università.Abbiamo deciso ( dopo aver ottenuto il via libera dal Ministero) di conferire la laurea in Scienze dell'Educazione e della Formazione Continua al prefetto di Palermo e la consegna sarà il 6 dicembre".

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