Presentato libro in memoria di Giovanni Lo Porto. "Una morte che grida verità, una storia che non va dimenticata"


di Ambra Drago
Non si conoscevano, mai parlati o incontrati e nemmeno originari dello stesso posto, uno di Asti, giornalista del quotidiano La Stampa e l'altro un cooperante palermitano. Eppure Domenico Quirico e Giovanni Lo Porto hanno vissuto con esiti diversi un dramma personale, un sequestro, in territori stranieri e dal  hanno trovato un legame nelle pagine di questo libro del 2019 che ha come principale motivazione quella di non far cadere nell'oblio la storia di un giovane che oggi avrebbe 43 anni , che si dedicava agli altri e che come dice l'autore si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato.
E' questo il preambolo della presentazione in anteprima per la Sicilia, del libro “Morte di un ragazzo italiano.In memoria di Giovanni Lo Porto" pubblicato dalla Casa editrice Piccola Biblioteca Neri Pozza. Il racconto di Quirico è stato illustrato alla libreria Modus Vivendi di Palermo. Hanno dialogato con il giornalista piemontese, la collega e responsabile della sede palermitana della agenzia di stampa AdnKronos, Elvira Terranova e il docente di diritto dell'economa della facoltà di Giurisprudenza  dell'Università degli Studi di Palermo, l'avvocato Roberto Natoli.

"Il problema centrale della morte di Lo Porto - sottolinea Quirico- è la tragedia di un singolo in virtù del principio machiavellico "il fine giustifica i mezzi".  Il presidente Obama è "l’assassinio- reo confesso" di Lo Porto, non perché lo dico io, bensì perché ha ammesso politicamente la sua responsabilità. Il principio è stato il seguente : stavano facendo un’operazione antiterroristica  per catturate un capo  di una tribù vicina a Al Qaeda e disgraziatamente c'erano due persone, tra cui Lo Porto, che sarebbe stato colpito da un drone-missile,il fine sarebbe stato per loro lecito politicamente e militarmente. Devo dire chiaramente che questo è un principio che rifiuto perché il mondo a cui sia io che Obama apparteniamo deve applicare il principio contrario. La differenza tra noi e la Jihad è che per quest’ultimi ogni mezzo, anche attraverso il terrorismo, è giustificato dal fine pur di affermare la presenza regno di Dio sulla terra". 
E sul motivo centrale per cui ha sentito l'esigenza di scrivere questo libro, Quirico risponde: "A me non interessa il fatto in sé, quello che mi preoccupa è la cancellazione dal nostro Paese di questa persona, il cui calvario di 4 anni è scomparso in dieci minuti. La notizia della morte di Lo Porto è stata data in appena nove righe, quella che giornalisticamente chiamiamo "una breve" e me ne sono accorto scrivendo un libro. Voglio fare un ragionamento che può sembrare  brutale, non perché ci sia una graduazione tra i morti ma lo faccio per esser chiaro e mi riferisco al caso Regeni.
I genitori di Regeni sono una presenza costante ma la domanda che mi pongo è perché i talk show pomeridiani o mattutini non abbiano inviato la mamma di Lo Porto. Siccome
per mestiere non racconto favole,  bisogna di dire che Lo Porto è stato “ammazzato”  e che prevale la spettacolarizzazione della televisione anche sulle tragedie. Ritengo che genitori di Regeni possono essere ospitati per via del loro italiano perfetto, mentre la mamma del giovane cooperante  non viene da una classe borghese o mea una famiglia agiata, Lo Porto è cresciuto allo Sperone, questo può incidere sul fatto che venga  messa da parte. Ribadisco a me la vita in se di Lo Porto non interessa, io ho volutamente evitare esempio di cercare fidanzate e amici o operatori umanitari ( se non incontrati casualmente) quello che mi strazia è la morte e la della cancellazione della sua storia.
Nel dibattito è intervenuto anche il professore e avvocato Roberto Natoli :"Non è un caso che sono qui, una sera sono passato da questa libreria e Fabrizio ha aperto uno scatolone e trovo il libro di Quirico. Io di fatto mi sono auto proposto nel presentarlo e posso dirvi che ho letto il libro in un fiato. Lui mi dice te la senti di presentarlo. Scopro che Quirico è laureato in giurisprudenza ed è il filo che ci lega. Poi tra le varie chiavi di lettura c'è sicuramente  questa ricerca del diritto e del non diritto che sta dietro questa storia di un giovane ammazzato.  Oggi anche dopo la morte si esiste in quanto si appare e si è presenti in rete. Provate  a cercare chi è Lo Porto sul web e scoprirete che rimanda a Wikipedia con appena poche righe. Bene è  la storia di un ragazzo dello Sperone con tre lauree che era convinto che soltanto imparando le lingue si può entrare in contatto con l’altro. Questa è la storia di un ragazzo che si è affermato solitamente viaggiando e studiando".
E su quale diritto si è voluto affermare in questa storia la risposta del giornalista piemontese è netta.
"Sostanzialmente ad avere un punto finale alla sua storia, conoscere la catena di comando che ne ha determinato la morte tra il territorio dell' Afghanistan e il Pakistan, fermo restando che l’accertamento deve essere fatto all’interno di una verità verificata. Ricordiamo che l'inchiesta è stata archiviata per l'assenza di collaborazione da parte delle autorità americane. Questo Paese deve chiedere giuridicamente di sapere come è morto sicuramente è stata   firmata da qualcuno. Il suo diritto è che quando vengono ricordate le vittime de terrorismo, il suo nome non venga saltato".
Ebbene la storia di questo cooperante italiano è un sequestro finito in tragedia che lo unisce a chi attraverso il suo scrivere vuole alzare la voce contro un'ingiustizia.
"Mentre io seguo le orme della sua odissea, mi arriva una verità sul mio sequestro diverso da quella che mi era stata raccontata dalle istituzioni. Ero convinto dopo questo libro che avrei ricevuto due convocazioni giudiziarie, una del magistrato che ha il fascicolo del mio sequestro e una da parte del magistrato con il fascicolo di Lo Porto. Già mi aspettavo i carabinieri e dall' uscita del libro sono passato mesi ma non sono venuti.  La meccanica interna del sequestro non finisce mai, continua a vivere in una stratificazione interna esempio nel caso delle innumerevoli domande sul caso di Lo Porto".
E sullo stato dell'esser prigioniero, del passare del tempo e di come comunque un sequestro incide sulla vita di chi come nel caso di Quirico ne è uscito vivo.
"Non puoi scrivere mai un capitolo fine su un sequestro- sottolinea l'autore- si costruisce da se sia che sia vivo, come nel mio caso, sia da morto".
E poco dopo Quirico si sofferma su come sia cambiata la sua capacità di narrare e su come questo libro non abbia ricevuto delle recensioni ma questo sembra non preoccuparlo.
Questo libro è passato sotto traccia ma non lo dico per il narcisismo dello scrittore a me interessa l’atto dello scrivere,  non vivo di classifiche.  È un problema che pongo principalmente a me stesso, forse avrei dovuto scriverlo diversamente ma se ciò è accaduto devo pormi un problema, o cambio mestiere o mi pongo diversamente. C’è qualcosa che non va’ ed è la commozione. Forse in questo Paese la maggior parte delle persone non l’ama. In un mondo dell’individualità del rapporto sembra che  commuoversi non è più possibile”.
Prima di concludere è stato chiesto a Quirico perché ha deciso di incontrare la mamma di Lo Porto, mentre lui era ancora vivo.
“ Ero tornato dalla Siria ricevetti tante telefonate ma non per avere informazioni sulla sorte di persone specifiche, credo che in quel momento funzionavo da amuleto per chi viveva un dolore. Avevo subito la sorte dei loro cari, ovvero esser sequestrato,  ma ero tornato vivo, quindi  trasmettevo involontariamente il messaggio che potesse accadere anche a loro. La madre di Lo Porto mi diceva la Farnesina non mi chiama, non mi dà notizie e poi sappiamo tutti come è finita. All'ultimo il corpo di Lo Porto, giunto a Ciampino un giorno prima dei funerali, è stato anche cremato. Ecco qualora dovessero riaprire le indagini riflettiamo anche sul fatto che non potrà esser eseguita nessun autopsia ".
Una riflessione, un libro e una storia contro il pericolo, ha sottolineato, il responsabile degli Esteri Quirico, ora inviato,  tutto finisca nel dimenticatoio.

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