Enza Nardi: La Scuola Oggi

Cari lettori, nel mio ultimo articolo ho evidenziato la negazione che ormai i ragazzi quasi non conoscono più. Oggi mi sento di include, tra i disagi portati dai “NO” non detti, anche quello vissuto a scuola. Un tema che mi sta particolarmente a cuore. Essendo io anche un’insegnante mi sento oltremodo coinvolta. L’istituzione scolastica, un tempo riconosciuta come luogo di formazione e di educazione, nel corso di una decina d’anni e forse più, ha perso la sua rispettabilità. Per molti è diventato soprattutto un luogo dove parcheggiare” i propri figli, riconoscendolo luogo più sicuro rispetto la strada. Peggio ancora ritenendoci guardiani di bambini e ragazzi che non conoscono limiti alla decenza, al bon ton, alla buona educazione. Costretti a trascorrere le ore di lezione non insegnando i contenuti della disciplina ma le regole elementari della scolarizzazione, ossia di come si sta in classe e quali devono essere le regole da rispettare.
Cresce in modo esponenziale la demotivazione degli insegnanti lasciati in balia di genitori aggressivi che li assediano e li screditano. Per non parlare di come sono costretti a subire l’atteggiamento di alunni sempre più ineducati e/o maleducati, due facce della stessa medaglia.
I comportamenti devianti degli alunni spesso sono il substrato di una mancanza di insegnamento delle regole di convivenza civile dei figli. Dove ecco che i no non detti si identificano. Questi ultimi non avendo imparato precise norme comportamentali pensano che a scuola tutto sia lecito e permesso, come succede a casa con i genitori, dimenticando che la scuola è una comunità educante. Quotidianamente in classe si assiste ad atteggiamenti altezzosi, arroganti e violenti di alunni che rispondono male. Utilizzano parole pesanti ed offensive della dignità e della reputazione dell’insegnante. Per loro tutto risulta normale, come se in quel momento si stessero rapportando con i genitori e i nonni. Il docente, nel suo ruolo, non può servirsi di nessun mezzo per mettere ordine o riguardare l’alunno indisciplinato. Le note non servono più perché totalmente ignorate sia dagli alunni che dai genitori.
I docenti si ritrovano così con armi spuntate, quindi senza strumenti difensivi. Non trascuriamo poi il fatto che quest’ultimi sono oggetto di continue richieste da ultima spiaggia, finalizzate a deresponsabilizzare sempre più le famiglie. Chi sta ai vertici, compresi i DS, non lo percepiscono o lo sottovalutano. Restano aggrappati a teorie che hanno prodotto la distruzione della scuola. Avvallano idee cognitivistiche che esistono solo sulla carta e non hanno ricadute efficaci nella realtà. Hanno tolto ai docenti la spontaneità educativa che aveva il suo peso e otteneva buoni risultati. Si è venuta a creare dunque una gran confusione nei ruoli. Chi sostiene che l’insegnante deve essere soltanto colui che trasferisce sapere al discente e chi sostiene che deve essere anche educatore, ma non gli viene data la possibilità di esserlo. Dimenticano che la scuola deve restare luogo di formazione, di accompagnamento al processo educativo e cognitivo degli alunni. A questa débâcle va sicuramente individuato anche il modello di “Scuola Facile” che ormai si è costretti a seguire.
I percorsi sono semplificati per via anche dell’aumento delle certificazioni DSA (3,2% nel 2017-18 rispetto al 2,9 dell’anno precedente). I docenti devono comprendere e giustificare sempre l’alunno, così non sono posti nella condizione di valutarlo, soprattutto dal punto di vista formativo. Ne consegue che il 70% della popolazione risulta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà. Sette italiani su dieci non capiscono bene l’italiano. Soltanto meno di un terzo è in grado di dimostrare, attraverso piccoli test linguistici e matematici, di capire effettivamente che cosa legge e di saper compiere un’operazione aritmetica elementare. Nonostante i dati rilevati, i docenti al termine dell’anno scolastico non hanno più la facoltà di bocciare l’alunno che presenta forti lacune perché i DS ne impediscono anche solo la proposta. Da qui nasce la demotivazione degli alunni all’impegno e allo studio perché sanno che tanto saranno promossi in ogni caso. Così il livello dell’istruzione diventa sempre più basso. Purtroppo non ci si rende conto che fuori da questa favola, dove le promozioni somigliano al vissero tutti felici e contenti, esiste la vita, quella che non fa sconti e non sempre giustifica e comprende.
Continuare con il modello della Scuola Facile, a mio avviso, non può che portare allo sbaraglio i ragazzi e le ragazze. Futuri uomini e donne sempre più incapaci di affrontare la complessità della vita, dove non ci sono “paracaduti” d’emergenza. Il quadro è veramente fosco e drammatico. Soprattutto nella scuola secondaria di I grado, circa un terzo degli alunni non possiedono le competenze sufficienti in italiano e matematica per proseguire la scuola superiore. Questo ci allontana dagli obiettivi dell’Europa 2030. Tutti noi vorremmo una “Buona Scuola” proposta dalla legge 107 come ddl, ma se non danno ai docenti la possibilità di lavorare con la dovuta spontaneità e naturalezza, con la professionalità di cui tutti sono dotati, il compito diventa davvero arduo. Non dico che bisogna tornare ai tempi della tradizionale lavagna in ardesia, ormai andata in pensione, col suo corollario di gessetti e cancellino. Condanno la severità adottata a quei tempi e sposo assolutamente il metodo del dialogo e del confronto, ma sarebbe cosa buona non dimenticare cos’era la scuola qualche decennio fa. Viva il progresso, sempre, ma quando questo porta crescita e non regressione. Enza Nardi Autrice

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