Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Il Segretario regionale Messina: necessario investire in infrastrutture per consentire empowerment economico. È stata l’assemblea dell'Onu nel 1999 a scegliere la data del 25 novembre per celebrare la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne in ricordo del sacrificio delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo in Repubblica Dominicana. Sono 103, ad oggi, le donne uccise in Italia dall’inizio dell’anno; 87 di loro sono state uccise in ambito familiare e 60 dal partner o dall’ex partner. “Vorrei richiamare l’attenzione sui dati drammatici in merito all’occupazione femminile - dichiara il Segretario regionale Giuseppe Messina- perché ritengo che la possibilità di una donna di affrancarsi da una situazione di violenza intrafamiliare passi assolutamente ed indiscutibilmente attraverso l’opportunità della stessa di essere economicamente indipendente e di poter provvedere al suo sostentamento e a quello dei figli.”.
Non a caso – dichiara ancora Messina- il Nuovo Piano antiviolenza 2021-2023, appena presentato dalla ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, prevede l’attivazione di percorsi di empowerment economico, finanziario, lavorativo. Un tema considerato elemento di rilievo sia nella fase di emersione che nell’accompagnamento verso l’autonomia. La cosiddetta violenza economica rappresenta, infatti, una delle forme più subdole e odiose di violenza contro le donne.”. I dati ci dicono che in Italia siamo penultimi in Europa per occupazione femminile, ultimi se consideriamo la fascia d’età tra i 25 e 34 anni. Una donna su cinque smette di lavorare dopo aver avuto un figlio. Nel mese di dicembre 2020 l’Istat ha certificato una flessione complessiva dei posti di lavoro dello 0,4% rispetto al mese di novembre, che significa: 101 mila occupati in meno, ma il 98% dei posti di lavoro persi era di donne, 99mila unità. Messina dichiara: “Sarebbe necessario investire in infrastrutture, in nidi pubblici, nella scuola a tempo pieno, nella cura e nell’assistenza agli anziani e ai disabili. Stime non ufficiali indicano che in Italia sono più di 3 milioni i caregiver familiari, ovvero le persone che in maniera gratuita e continuativa si prendono cura di familiari non autosufficienti o con patologie croniche invalidanti. ll 70% dei caregiver sono donne di età compresa tra i 45 e i 55 anni, che talvolta svolgono anche un lavoro fuori casa o che sono state costrette ad abbandonarlo – nel 60% dei casi – per potersi dedicare a tempo pieno alla cura dei familiari.”. E la pandemia ha fatto da cassa di risonanza, amplificando indiscutibilmente le disuguaglianze sociali. Il motivo per cui il crollo occupazionale nell’Italia messa in ginocchio dalla pandemia è un affare soprattutto femminile ha a che fare con la natura del lavoro stesso. Le donne sono impiegate soprattutto nei settori che più di tutti stanno vivendo la crisi, come quello dei servizi e quello domestico, spesso con contratti che danno poca sicurezza e stabilità, come il part-time. Per questo oggi sono le prime vittime sacrificali dei datori di lavoro, un fenomeno a cui nemmeno il blocco dei licenziamenti è riuscito a mettere un freno.

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