di Giancarlo Drago
Leoluca Orlando è stato professore
di Diritto pubblico regionale all’
Università di Palermo. Attualmente è sindaco della città. Da uomo di legge e ammnistratore consumato
dovrebbe distinguere facilmente diritti e doveri, leggi e disposizioni, responsabilità
personali e politiche.
Senza entrare inutilmente
nell’inesistente possibilità di non condividere il concorso a una politica di
apertura e accoglienza, condivisione e sostegno, che ha in Sicilia una cultura millenaria e la
tragica esperienza di una dura emigrazione,
c’è però il bisogno di chiarire qualche punto fondamentale che, in
occasione di queste contrapposizioni, finisce per essere ignorato.
Intanto partiamo dal punto
che un amministratore pubblico non può praticare la disobbedienza civile, in
qualità del suo ruolo. A lui sono possibili le dimissioni.
Nessun cittadino può violare
una legge, perché colpevole comunque. Ci sono attenuanti, ma le deve applicare
un giudice; ci sono aggravanti, nel caso
la violazione induca al concorso o all’emulazione e se esercitate da chi ha
particolari ruoli di responsabilità.
Nessuna delibera o direttiva
solleva un dipendente di
un’amministrazione pubblica dal dovere di rispettare una legge.
Le leggi vanno impugnate
secondo precisi iter in cui un sindaco
non ha alcun ruolo.
Come hanno insegnato a questo
paese le battaglie radicali, politici e cittadini comuni possono promuovere un
referendum per cambiare o abolire una legge,
come il Decreto voluto da Salvini.
Anche perché se questi punti
non rimanessero fermi, la presa di posizione di Orlando rischierebbe di
gettare ulteriore discredito a un
sistema democratico che dall’ Aula di Montecitorio alle altre sedi
istituzionali sembra scricchiolare sempre più.
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