Mafia e affari con droga e pizzo a Brancaccio e Ciaculli. Operazione di polizia e carabinieri: 31 arresti e 6 sequestri

Operazione congiunta di carabinieri, polizia e Servizio Centrale Operativo e che tocca diverse città italiane come Reggio Calabria, Alessandria, Genova e Palermo. Trentuno gli indagati nel capoluogo siciliano, di cui 29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari , ritenuti a vario titolo gravemente indiziati di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale e estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Si tratta della continuazione dell'indagine che nel luglio del 2020 ha portato all'emissione di alcuni decreti di fermo. In particolare il provvedimento restrittivo di oggi, ha la seguente incolpazione provvisoria: “per aver fatto parte, in concorso ed unitamente ad altre numerose persone, dell’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”, promuovendone, organizzandone e dirigendone le relative illecite attività e per essersi, insieme, avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per se e per gli altri, per intervenire sulle istituzioni e sulla pubblica amministrazione”.Per quanto riguarda le indagini portate avanti dalla Squadra Mobile sono la continuazione dell'operazione del novembre del 2019. All'epoca vennero acquisiti c gravi indizi in ordine all’attuale organigramma delle famiglie mafiose attive nell’ampio contesto criminale del mandamento di Brancaccio che comprende le famiglie mafiose di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella. Vennero ricostruiti gli assetti delle famiglie di Brancaccio ,identificando i probabili vertici, gregari e soldati, che dalle acquisizioni info-investigative il giudice ha ritenuto gravemente indiziati di numerosi reati–fine dell’associazione mafiosa, dalle estorsioni, commesse ai danni di numerosissimi commercianti e imprenditori, il  pizzo, alla gestione delle numerose piazze di spaccio sparse sul territorio di Brancaccio, tutti reati che hanno consentito di accumulare quei proventi necessari al mantenimento in vita dell’associazione ed alla remunerazione dei sodali liberi e delle famiglie di quelli detenuti. Secondo gli investigatori rientrerebbero all'interno di Cosa nostra personaggi del calibro di Giovanni Di Lisciandro, vertice della compagine, coadiuvato da Stefano Nolano, Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede quest’ultimo ritenuto responsabile operativo per il settore delle estorsioni e del traffico di droga che avrebbero riorganizzato i sodalizi mafiosi permettendone non solo la sopravvivenza ma consentendo una maggiore espansione sul territorio di Brancaccio. Ne è la dimostrazione l’aver documentato 50 episodi estorsivi ai danni di titolari di esercizi commerciali.emblematica è la conversazione avvenuta tra il responsabile delle estorsioni della cosca mafiosa ed un suo sodale, avvicinato da un imprenditore edile il quale, avendo in progetto di acquistare un terreno nella zona di competenza della famiglia mafiosa per costruirvi appartamenti e consapevole di doversi assoggettare alle pretese mafiose per poter realizzare le costruzioni senza incorrere in furti, rapine o danneggiamenti – per ottenere quindi la protezione della mafia – , si rivolge al referente mafioso della zona, per mettersi a posto. Le pretese estorsive non hanno risparmiato nemmeno uno sfincionaro il quale, dopo aver subito il danneggiamento della saracinesca del laboratorio mediante apposizione di attack si era rivolto ad uno degli odierni indagati per mettersi a posto.Per quanto riguarda le armi, “è di tutta evidenza, dunque, come tutti gli associati abbiano piena consapevolezza di siffatta disponibilità e siano ben consci anche della loro possibilità di ottenere il concreto possesso di armi di cui siano in un dato momento sprovvisti rivolgendosi ad altri sodali, financo a quelli eventualmente inseriti in altre articolazioni territoriali dell’organizzazione criminale”.

Anche il traffico di stupefacenti rappresenta una importante voce di arricchimento illecito; dal complesso delle attività, infatti, è stato possibile quantificare gli introiti derivanti dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai sodali, con un ricavo presunto di circa 80.000 euro settimanali, nonché accertare la provenienza di parte dello stupefacente ad opera di due Calabresi, destinatari dell’odierna ordinanza.



In tale ambito sono stati eseguiti, in più occasioni ed a titolo di riscontro, 16 arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sequestrati circa 80 Kg di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8.000.000 di euro.



Afferma il Giudice, “non ci si può infine esimere dal rimarcare che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e “ideali”, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole “sbirro” o carabiniere” quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate”.

In tale contesto si richiama il servizio di captazione a carico degli indagati che nel maggio del 2019, durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, veniva prospettata l’intenzione di un parente di un coindagato di far partecipare la figlia alle relative iniziative scolastiche.

In proposito il presunto uomo d’onore, dopo aver apostrofato la parente del coindagato come sbirra, ha sottolineato come lui non avesse mai prestato il consenso alla partecipazione definita “vergogne” a queste iniziative, ribadendo che non potevano “immischiare le carte con FALCONE e BORSELLINO”.

Continua il Giudice che “si colloca nel medesimo solco, ed è per la verità ancora più sconcertante, il fatto che la “formazione” mafiosa non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti Giudici Borsellino e Falcone”.

Anche in piena emergenza epidemiologica sono stati acquisiti gravi indizi in merito al rastrellamento di denaro dalle pochissime attività rimaste aperte e con volumi di affari certamente ridotti ma in un caso un indagato si è impossessato di venti cartoni di mascherine FP3 contenenti 16.000 mascherine, sottraendole ad un Ospedale cittadino dove svolgeva attività lavorativa perché appartenente all’area “Emergenza Palermo”, per rivenderle a scopo di lucro.

Invece nelle indagini sviluppate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, colpisce un gruppo di soggetti gravemente indiziati di essere direttamente legati a Giuseppe Greco e Ignazio Ingrassia che, forti dei loro storici legami con “Cosa Nostra”, sarebbero stati in grado di coadiuvare i due vertici nella gestione del mandamento mafioso e nella conduzione delle attività illecite che alimentavano le casse della famiglia mafiosa di Ciaculli.

Fra le cinque persone destinatarie di misura cautelare ci sono infatti Francesco Greco, direttamente legato per connessioni parentali ai vertici del mandamento, e Emanuele Prestifilippo.

L’agguerrita compagine criminale, per il tramite dei suoi collaboratori, si sarebbe dunque occupata dell’imposizione delle cosiddette sensalerie sulle compravendite di immobili ricadenti sotto l’area di influenza, commettendo vere e proprie condotte estorsive in danno di quei cittadini che, per concludere affari immobiliari, si sono visti costretti ad accettate l’opera di mediazione degli indagati.



Altro settore illecito è quello della coltivazione di piantagioni di cannabis-sativa, da cui veniva ricavato lo stupefacente destinato alle piazze di spaccio del capoluogo.



Le acquisizioni dei militari del Nucleo Investigativo hanno, altresì, evidenziato che la compagine criminale avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte direttamente alla conduttura “San Leonardo”, di proprietà del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”. Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini operanti nell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Tale circostanza, oltre a costituire un guadagno illecito per l’organizzazione mafiosa, avrebbe permesso alla famiglia mafiosa di Ciaculli di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza: l’acqua.



Un ulteriore “affare” sul quale gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo, è stato rintracciato nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali. Questo delicato settore, che risulta una costante nella moderna economia che costituisce gli affari delle famiglie mafiose siciliane, avrebbe assicurato cospicui introiti nella cassa della consorteria di Ciaculli e di quel mandamento mafioso, che avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta alle attività ludiche dalle leggi italiane. Il compenso, tuttavia, sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento mafioso. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.

Dalle indagini è anche emerso che la compagine mafiosa avrebbe avuto anche a disposizione un vero e proprio arsenale di armi. L’intervento dei Carabinieri ha, infatti, consentito nell’ottobre 2020 di arrestare in flagranza di reato Emanuele Prestifilippo e di rinvenire nella sua disponibilità un fucile da caccia (doppietta) marca Beretta cal. 12 e otto munizioni celate all’interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà nella zona di Croceverde Giardini, fatti per i quali vi è procedimento penale in corso.

Contestualmente la Polizia Giudiziaria ha dato esecuzione al sequestro preventivo del capitale sociale, dei beni aziendali e dei locali della impresa, per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro in quanto frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.



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