Nel corso dell'udienza preliminare, l'ex capo della polizia ha sostenuto che l'uccisione di Lima e la strage di Capaci rientrarono "in un'unica strategia di attacco mafioso". Mannino in pericolo? "Non mi risultava"
L'ex capo della polizia ha detto di non ricordare se dopo il delitto Lima e la strage di Capaci abbia avvertito il rischio di altri omicidi politici. E, in particolare, ha sottolineato: "Non ricordo pericoli di attentati a Mannino", l'ex ministro democristiano imputato nel procedimento. Secondo l'accusa, Mannino si sarebbe attivato per la trattativa nel timore di essere ucciso dalla mafia.
De Gennaro ha poi aggiunto che "c'era uno stato di incertezza nell'attribuire gli attentati del '93. L'attribuzione della matrice mafiosa non fu facile". L'ex capo della polizia ha sottolineato che nelle stragi "la logica era quella della stabilizzazione". De Gennaro ha poi ricordato una nota della Direzione investigativa antimafia del 10 luglio del 1993 in cui si segnalava la "strategia di pressione sullo Stato". "Gli apparati investigativi - ha aggiunto - si erano prefigurati l'escalation di altri attentati".
"Molti detenuti - ha detto l'ex capo della polizia - si pentirono probabilmente perché non sopportavano le restrizioni carcerarie del 41 bis. Dopo l'omicidio Borsellino, si pensò di trasferire Luciano Liggio (il boss storico di Corleone, ndr) all'Asinara a mo' di ammonimento".
"Non fui a conoscenza di rapporti tra il Ros e Ciancimino nel '92", ha poi detto De Gennaro, negando di aver saputo dei contatti che alcuni ufficiali del Reparto operativo speciale dei carabinieri avevano avviato con l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Contatti che, per l'accusa, si inseriscono nella trattativa: Ciancimino avrebbe fatto da tramite con i boss corleonesi mandanti delle stragi. "Di solito non si dava notizia di tali iniziative", ha sottolineato De Gennaro.
L'ex capo della polizia ha detto di non ricordare se dopo il delitto Lima e la strage di Capaci abbia avvertito il rischio di altri omicidi politici. E, in particolare, ha sottolineato: "Non ricordo pericoli di attentati a Mannino", l'ex ministro democristiano imputato nel procedimento. Secondo l'accusa, Mannino si sarebbe attivato per la trattativa nel timore di essere ucciso dalla mafia.
De Gennaro ha poi aggiunto che "c'era uno stato di incertezza nell'attribuire gli attentati del '93. L'attribuzione della matrice mafiosa non fu facile". L'ex capo della polizia ha sottolineato che nelle stragi "la logica era quella della stabilizzazione". De Gennaro ha poi ricordato una nota della Direzione investigativa antimafia del 10 luglio del 1993 in cui si segnalava la "strategia di pressione sullo Stato". "Gli apparati investigativi - ha aggiunto - si erano prefigurati l'escalation di altri attentati".
"Molti detenuti - ha detto l'ex capo della polizia - si pentirono probabilmente perché non sopportavano le restrizioni carcerarie del 41 bis. Dopo l'omicidio Borsellino, si pensò di trasferire Luciano Liggio (il boss storico di Corleone, ndr) all'Asinara a mo' di ammonimento".
"Non fui a conoscenza di rapporti tra il Ros e Ciancimino nel '92", ha poi detto De Gennaro, negando di aver saputo dei contatti che alcuni ufficiali del Reparto operativo speciale dei carabinieri avevano avviato con l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Contatti che, per l'accusa, si inseriscono nella trattativa: Ciancimino avrebbe fatto da tramite con i boss corleonesi mandanti delle stragi. "Di solito non si dava notizia di tali iniziative", ha sottolineato De Gennaro.
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