QUIRINALE PASSAGGIO DECISIVO MA IL GIOCO VA ORMAI OLTRE E PER RENZI LA PARTITA NON PREVEDE PAREGGIO

È ormai evidente che quello della nomina del successore di Giorgio Napolitano sia diventato un passaggio politico di valenza straordinaria, la cui importanza travalica il ruolo pur decisivo del Quirinale. Le lacerazioni che si sono già prodotte sia nel Pd – destinate a superare il punto di non ritorno – sia dentro Forza Italia – più riassorbibili – e la guerra che si può scatenare nel segreto dell’urna sono elementi destinati a rendere questo passaggio una linea di confine tra un prima, la lunga fase di transizione post-bipolarista, e un dopo, ancora tutto da definire. In mezzo c’è Renzi e il suo governo, che affrontano una partita in cui non è previsto il pareggio. Se le cose vanno in un certo modo, Renzi vince gioco, partita e incontro, altrimenti perde senza possibilità di rivincita. E tutto dipende non (solo) dal candidato Presidente, ma (soprattutto) dalle dinamiche – leggi istinto assassino – interne ai due contraenti del “patto del Nazareno”. Per questo ci siamo astenuti dal salire sulla giostra del “toto Quirinale”: non ha senso fare nomi, né sarà il nome – tranne in un solo caso: se fosse quello di Draghi – a determinare gli accadimenti successivi, bensì la dinamica che avrà portato in questa piuttosto che quella direzione. Insomma, quando ci sarà l’elezione del nuovo Capo dello Stato sapremo se Renzi avrà vinto o perso tutto, ma a rivelarlo non sarà il nome del prescelto, ma il come si sarà arrivati a fare quella scelta. Per esempio, si sceglierà la strada del grande accordo? E allora sarà da realizzare nelle prime tre votazioni. Si opterà per il consolidamento del patto del Nazareno, sperando di non perdere troppi pezzi per strada? Se la quadra non si trova già alla quarta votazione, il rischio è che cominci un ballo che nessuno saprà più come fermare. Nel primo come nel secondo caso, tutto andando bene, si chiuderebbe la stagione di supplenza del Quirinale, ma ciò significherebbe che la guida politica del Paese torna in toto ai partiti e al Parlamento. Nel caso che, invece, il Parlamento si dovesse avventurare alla carneficina, allora finirebbe la stagione della supplenza del Colle e si aprirebbe quella della supplenza della troika. Con una sola possibile mediazione, quella di Draghi appunto. Che proprio in queste ore ha ulteriormente arrotondato il suo già altissimo peso specifico – non a caso solo in Italia la manovra che è riuscito a far fare alla Bce ha ricevuto critiche, seppure modeste nella dimensione e risibili nel merito – e che anche per questo potrebbe rivelarsi davvero salvifico. 

Vediamo in dettaglio entrambi gli scenari. Primo scenario. Il lavoro è immane. Perché la nomina del nuovo Presidente – tanto nell’ipotesi dei primi tre scrutini quanto in quella del quarto o quinto – è solo il primo tassello di un puzzle che deve prevedere un nuovo e funzionale assetto istituzionale (attenzione, non basta che sia nuova, deve essere funzionale, e le riforme fin qui ipotizzate non lo sono), un nuovo e stabile equilibrio politico (tutto ancora da immaginare) e, forse, anche un riassetto delle forze politiche in campo, a cominciare dal Pd. Le cose più probabili che possono accadere? La scissione del Pd e la creazione di una nuova maggioranza di governo, con l’ingresso dei berlusconiani nell’esecutivo. Solo che rispetto al governo Letta, la configurazione politica non potrà più essere quella delle “larghe intese”, bensì di un alleanza organica che inevitabilmente passa per una rottura definitiva dentro il Pd e la conseguente fuoriuscita dell’ala sinistra (bisogna vederne l’entità per caprine appieno le conseguenze) e una riaggregazione del centro e del centro-destra (qui è facile prevedere che a star fuori sarà solo la Lega di Salvini). Insomma, da questo esito di partita Renzi esce vincitore, ma sarà comunque costretto – da posizioni di forza, però, e non è poco – a ridisegnare non solo la mappa della politica e delle istituzioni, ma anche a dare sbocco a quella delle forze politiche, la sua in primis. Un passaggio sarebbe quello di un Renzi-bis, con un probabile sbocco elettorale solo quando tutte le bocce fossero ferme (non nel 2015). 

Secondo scenario, quello del “frullatore” che trita via via i candidati e allunga il brodo delle votazioni. Qui le previsioni dovrebbero essere assistite da apposita palla di cristallo, ma una cosa sarebbe certa: Renzi ne uscirebbe perdente più di chiunque altro. Una situazione di caos come quella dell’ultima volta, quando poi si chiese a Napolitano il bis, sarebbe infatti messa sul suo conto, e come segretario del partito di maggioranza e come capo del governo. Aprendo così scenari imprevedibili.

Vada come vada, è comunque ormai tramontata la fase del “Renzi senza alternativa”. Perché o Renzi vince, consolida il suo potere e trova nel “governo del Nazareno” una stabilità che non si regge più solo sul fatto che un altro non si trova, o Renzi perde, e allora un’alternativa, bella o brutta che sia, andrà comunque trovata. Nel primo caso non resta che sperare che questo passaggio di paradigma significhi passare dal Renzi uomo di potere al Renzi uomo di governo, insomma da leader a statista. Nel secondo caso non resta che sperare in Draghi.

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