di Ambra Drago
La storia di un poliziotto romano catapultato a Palermo che impara a conoscere via via nella sua lunga carriera e che lo vede protagonista di diverse catture di latitanti come Provenzano e Raccuglia, per non parlare dell’incontro con personaggi del calibro del giudice Falcone, di Borsellino ma anche di un Aldo Moro di cui è stato allievo alla Sapienza di Roma.Stiamo parlando di Maurizio Ortolan ispettore di polizia dal 1987 al 2013 che ha operato nel capoluogo siciliano fino al 2014.
Torna volentieri a Palermo anche quando deve presentare il suo libro “Io sbirro a Palermo” editore Melampo insieme a Umberto Santino,fondatore del Centro impastato, alla sociologa, docente universitaria curatrice della prefazione, Alessandra Dino e al giornalista della La Repubblica, Salvo Palazzolo.
Noi di Siciliaunonews lo incontriamo in uno dei posti che Ortolan insieme ai colleghi della Catturandi frequentava nella sua lunga permanenza palermitana al Kaleido, un Caffè di Corso Vittorio Emanuele.
“In poche parole riassumere la mia vita ormai giunto a 60 anni non è semplice ma ci provo- racconta Maurizio Ortolan- ho fatto il portiere di albergo di notte, poi ho vinto un concorso nelle Ferrovie ma la mia idea era quella entrare in Polizia. Mi colpiva la vita avventurosa, la possibilità forse di viaggiare e la voglia di conoscere la gente. Ecco credo che il lavoro di portiere abbia rappresentato un’esperienza che mio ha segnato perché entri in contatto con una varietà umana vasta e in polizia è stata la stessa cosa.
Una vita in polizia iniziato dalla base e da una lunga gavetta sulla strada dopo il periodo di assestamento iniziale alla scuola allievi di Nettuno.
“Dopo Nettuno, primo incarico commissariato di San Basilio poi andai alle volanti dove feci due anni. Per me questa è la Polizia, il cittadino deve sapere che c’è un poliziotto che cerca di risolvere il problema. In quel periodo lavorativo c’era un vantaggio ovvero che potevi programmare un pò la tua vita, così come quando fui chiamato a lavorare sopra in Sala operativa”.
Sono anni in cui stava nascendo la Quarta Sezione della Criminalpol e dei colleghi stuzzicarono Ortolan invitandolo a compilare la domanda per il trasferimento.
“Arrivai al Nucleo Centrale Anticrimine con lo scopo di andare in giro e affiancare gli investigatori locali quando accadevano reati di un certo rilievo.
La mia prima indagine di mafia fu nel 1988, sulla loggia Scontrino di Trapani ma non feci il tempo ad arrivare che poi mi spedirono a Caltanissetta dove avevano ammazzato il giudice Saetta con il figlio”.
In realtà Ortolan da “uomo per anni sulla strada” inizia a calarsi nella comprensione della criminalità organizzata nel 1989 quando De Gennaro gli assegnò il compito di scortare Francesco Marino Mannoia, corleonese perdente della prima guerra di mafia che decise di collaborare rilasciando dichiarazioni al giudice Giovanni Falcone.
“Un passaggio fondamentale per me fu la riforma del codice di procedura penale- continua Ortolan- il 24 ottobre 1989. Da quel momento Falcone poté interrogare come pubblico ministero facendosi affiancare da un ausiliario della polizia giudiziaria, mi chiamò nel frattanto Gratteri che mi chiese di fare il dattilografo. Insomma mi ritrovai a redigere i verbali degli interrogatori e poi continuavo ugualmente l’attività di scorta a Mannoia”.
Sono anni in cui a Mannoia vengono uccise la sorella, la madre, nella strage di Bagheria, momenti complessi ma che lui sembrava accettare silenziosamente.
“Dal punto di vista umano- sottolinea Ortolan- ho conosciuto un Mannoia molto equilibrato e forse troppo fiducioso su quello che lo Stato poteva dargli. Quando perse i familiari gli feci le condoglianze ma lui non recriminò nulla e non disse nulla in merito”.
E’ il periodo o meglio un incarico che il direttore della sezione Francesco Gratteri chiamava ottimizzazione delle risorse e che di fatto mise Ortolan a lavorare fianco fianco con Giovanni Falcone.
“Io ricordo che il giudice quando parlava con Mannoia era un dialogo strettamente tra palermitani, seppur su versanti opposti, parlavano la stessa lingua. A volte usavano parole dialettali per trovare la quadra finale e spesso Falcone lo traduceva anche a me”.
Il dopo Mannoia apre il periodo in cui Ortolan dà la caccia ai latitanti entrando a far parte della squadra “Duomo” composta da colleghi della Catturandi della Squadra mobile di Palermo e elementi scelti dallo Sco, sotto la guida di Renato Cortese, attuale Questore di Palermo.
“La squadra è stata impostata benissimo da Renato Cortese, ognuno aveva delle competenze specifiche.Per fare un’indagine ci vuole chi intercetta, chi riascolta una traccia e che con pazienza riesce a capire elementi in più, poi ci vuole uno bravo per chi mette le attrezzature tecniche, insomma varie anime. Quello che io chiamo nel libro il “poliziotto pescatore” che aspetta pazientemente e lo distinguo dal “poliziotto cacciatore”.
Il giorno dei giorni arrivò 11 aprile del 2006, dopo otto anni di indagini serrate quando il gruppo Duomo guidato da Cortese, con la collaborazione di Giuseppe Gualtieri, all’epoca Capo della Squadra Mobile di Palermo, in un’inchiesta coordinata dai sostituti Michele Prestipino, Marzia Sabella e Giuseppe Pignatone, si decide di effettuare il blitz a Montagna dei Cavalli dove si nascondeva la “Primula Rossa” latitante da 43 anni.
“Ricordo bene quel giorno. Renato Cortese scelse i suoi uomini e mi chiese di scegliere quelli dello Sco, fermo restando che due sarebbero dovuti rimanere dentro. Allora rimasi io e un collega abbastanza comprensivo. Non tutti possono essere sempre in prima fila è importante fare squadra ed essere una squadra”.
Un blitz fulmineo che poteva aver un esito diverso perché in un “pizzino” scritto al figlio Angelo, che si sarebbe sposato di li a poco, il boss ribadiva che dopo le nozze sarebbe andato via.
“ Siamo stati fortunati perché Provenzano davvero a breve avrebbe cambiato posto. Inoltre data la sua malattia, il cancro alla prostata, l’iniezione che doveva trimestralmente praticarsi non poteva essere fatta a Montagna di Cavalli a pochi passi da Corleone, li non voleva nessuno e magari sarebbe andato in un altro posto. Se noi fossimo entrati mentre lui andava da un’altra parte avremmo bruciato anni di indagine”.
Dopo l’ arresto di Provenzano, iniziano la fase delle incombenze, verbale d’arresto, biglietto di carcerazione, la presa da parte dell’istituto penitenziario, carte su carte che dovevano essere pronte per l’indomani quando un procuratore le avrebbe richieste.
“Finisco a mezzanotte passate ma mi accorgo che rimangono dei soldi che avevamo sequestrato nel covo e la Bibbia di Provenzano. Un bel problema perché noi alla “Duomo” non avevamo la cassaforte, allora prendo la borsa metto tutto dentro e a bordo della bicicletta mi dirigo verso l’albergo dove alloggiavo. Arrivato in camera mi metto a sfogliare il testo religioso c’erano ancora dei pizzini, quelli strettamente di interesse criminale erano stati sequestrati, questi altri contenevano frasi che erano prese di peso dalla Bibbia.Nessun mistero o linguaggi da criptare. Insomma nessuna dietrologia “.
Invece chiediamo a conclusione del nostro incontro perché un poliziotto ha sentito la necessità di scrivere un libro.
“Io nell’arco della mia carriera- conclude Ortolan- ho sempre tenuto dei diari dove appuntavo, l’ho sempre fatto fin dai tempi del Commissariato. Ho continuato a tenere l’agenda negli anni successivi e quindi scrivere questo libro non mi è venuto difficile ma ritengo di averlo fatto per nostalgia. Devo anche dire che sono rimasto contento dal feedback che ha avuto da chi l’ ha già letto e penso che possa arrivare a tutti. Certo magari il poliziotto lo legge da un’ottica diversa ma davvero può essere letto da tutti. Ci sono riflessioni personali, c’è di tutto. Non so se scriverò ancora, anche se ne avrei di storie da raccontare ma a cuore mi stava il tema sulla criminalità organizzata e questo libro racconta i più importanti episodi cronaca criminale italiana fino agli arresti dei più grandi latitanti mafiosi di quegli anni”.
Nessun commento:
Posta un commento