Storie dei figli dei boss nel libro del giornalista Cirrincione: "Sono stati considerati dei fantasmi"

di Ambra Drago
"L'idea di scrivere questo libro dal titolo: "Figli dei boss".Vite in cerca di verità e riscatto è nata due anni fa. Poi confrontandomi con il mio maestro- racconta il giornalista Dario Cirrincione- ho deciso di raccogliere le storie di questi ragazzi spesso dimenticati, un percorso davvero in salita, e farne un testo.Sono davvero molto contento di essere nella mia città, Palermo, davanti la mia famiglia al completo e anche alla presenza di quella che ritengo la mia "famiglia giornalistica" ,soprattutto ai miei inizi al Giornale di Sicilia, rappresentata da Angelo Meli e l'attuale presidente dell'Odg Sicilia, Giulio Francese".
Il volume, con la prefazione di Calogero Gaetano Paci (procuratore aggiunto di Reggio Calabria) e la postfazione di Alessandra Dino (sociologa all’Università di Palermo) è stato presentato al Liceo Classico “Vittorio Emanuele II” di Palermo per iniziativa del Centro studi Pio La Torre (cui saranno devoluti in beneficienza i diritti d’autore del libro), delle Librerie Paoline e dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.
Il giornalista palermitano classe 83' nel libro idealmente diviso in tre parti, racconta tante storie: da quella inedita di Vita Maria Atria, nipote della testimone di giustizia Rita Atria e figlia del mafioso Nicola, am anche dell’onorevole M5s Piera Aiello, prima donna testimone d’Italia, a quella di Tommy Parisi, cantante e figlio del boss pugliese Savino Parisi; da quella di Francesco Tiberio La Torre (arrestato dopo il rilascio dell’intervista), figlio di Augusto La Torre, capo dell’omonimo clan camorristico di Mondragone ai “figli dei boss tra i boss”, quelli dei Riina e dei Provenzano, che hanno scelto di continuare per la strada criminale intrapresa dai genitori.

"Molti dei ragazzi protagonisti di questo libro - spiega l'autore, Dario Cirrincione - non sono solo 'figli di' ma hanno un nome e cognome, una identità. Le loro storie sono quelle di ragazzi che amano la propria vita e che invece sono considerati dei fantasmi. Per molti, essi non esistono, non vivono una vita loro, non sognano; e per i pregiudizi della gente hanno festeggiato i compleanni da soli o non possono vivere storie d'amore".

Il dibattito ha visto la partecipazione del Centro Studi Pio La Torre e del suo presidente Vito Lo Monaco: ""Oggi la struttura della mafia è cambiata, dalla mafia delle stragi è diventata mafia affaristica. Con essa è mutata anche la percezione che è cresciuta non solo tra i giovani studenti ma anche all'interno della mafia stessa, come dimostra il recente caso della famiglia di Pioppo che ha denunciato il conduttore Giletti che li aveva accusati di essere mafiosi. Un tempo sarebbe stato ritenuto un 'onore', adesso, per fortuna, è un'infamia da denunciare".

"A mio parere occorre oggi affrontare il tema con un piglio laico- sottolinea la professoressa e sociologa Alessandra Dino -  valutando in maniera concreta caso per caso per affrontare le singole situazioni in modo adeguato. Faccio un piccolo passo indietro, ritengo  che la vecchia mafia e la nuova abbiano un elemento in comune, ovvero l'interconnessione con la politica. Ecco che i giornalisti hanno un ruolo importante, sono chiamati a raccontare queste sfaccettature perché sussistono tantissime zone grigie 
(penso  ad esempio al depistaggio di via D'Amelio). Ritornando invece  al tema di oggi, ovvero il ruolo della comunicazione, legandolo quindi al libro di ricerca e di raccolta delle storie, di Cirrincione, penso che ciò che manca ed è mancato ai suoi interlocutori è stato il riconoscimento sociale.
I figli di esponenti delle organizzazioni criminali che vogliono distaccarsi dal mondo mafioso vivono una posizione scomoda, la sensazione di non trovare mai un riconoscimento. A questi ragazzi si richiede di rinnegare la propria appartenenza per essere accettati. Ma non si può fare a meno della propria famiglia per vivere una vita normale. Vi è una terza strada - continua la Dino - che non esclude, ma non collude, con il mondo mafioso, ed è la possibilità di distaccarsi da quel mondo pur mantenendo un legame affettivo con la famiglia. Questo senso di sofferenza e contraddizione non appartiene solo ai 'cattivi'' . Voglio concludere nel sottolineare come questi ragazzi hanno voluto parlare in prime persona, mostrando la loro sofferenza e difficoltà, ma ritengo che in un Paese democratico ci debba essere la possibilità di poter scegliere di essere liberi.

Alla mattinata formativa per i giornalisti e per i tanti studenti che hanno affollato l'Aula Magna, è intervenuto anche il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Gaetano Paci.
"Voglio essere chiaro nel nostro Paese esiste un vuoto normativo- esordisce il procuratore aggiunto di Reggio Calabria-  ovvero quello che garantisce a chi pur non avendo imputazioni in reati legati alla criminalità, ma cresciuto in un contesto difficile e con legami discutibili, di poter prendere le distanze, cercando di avere una vita normale anche al di fuori della famiglia d'origine. Bisogna, ed è quanto emerge nel libro di Cirrincione, trovare una strategia diversa oltre alle attività preventive e repressive. Occorre al di la dell'impegno di Libera, trovare mezzi e possibilità di lavoro per coloro che non possono godere del programma di testimoni o collaboratori di giustizia, ma che hanno il diritto di scegliere. Per questo il mio ufficio a Reggio Calabria, fin dal 2 febbraio 2018 ha aderito al progetto "Liberi di scegliere" e speriamo diventi al più presto legge. Ritengo sia un modo per riscattare la mancanza della presenza dello Stato in anni precedenti, anche se gli interlocutori sono i ragazzi di famiglie che ad origine non hanno scelto di stare dalla parte della legalità. Ecco che spero anche con l'aiuto del Centro Studi Pio La Torre ci sia tutto il sostegno e l'appoggio per un progetto che ha una valenza e che può se con i giusti mezzi, anche economici, offrire una misura alternativa a quella rappresentata dal contesto criminale in cui molti si ritrovano a vivere".
Successivamente ha preso la parola, Vittorio Teresi, giá procuratore aggiunto a Palermo, pm nel processo Trattativa Stato-mafia e oggi presidente del Centro Studi Borsellino.
"Faccio fatica -sottolinea Teresi-a capire la differenza tra vecchia e nuova mafia. D' altro canto un fenomeno criminale se non fosse collegato a rituali antichi non saremmo ancora dopo secoli a parlare di questo. Secondo me la mafia è mafia, lo era prima, lo è ancora, semmai e bisogna dirlo, ha una grandissima capacità a abituarsi ai cambiamenti. Ieri sono stato al corteo per ricordare Peppino Impastato e c'erano tanti giovani che gridavano: Peppino Impastato c'è l'ha insegnato fuori la mafia dallo Stato" e mi sono chiesto ma siamo sicuri che lo Stato vuole la criminalità fuori. Se ascoltate i telegiornali sono diversi i fenomeni corruttivi ormai all'ordine del giorno, dove negli anni sono mutuati i protagonisti. Prima erano solo corrotto e corruttore, oggi, anche al nord, i protagonisti sono tre: corrotto, corruttore e criminalità. Poiché non c' è differenza tra vecchio e nuovo sono stato sempre contrario a un rapporto del giustificazionismo sociale. Credo che nel progetto "Liberi di scegliere" dove emerge tanto coraggio ma credo anche che chi si occupi di ciò debba avere dei modelli da imitare e lo possono essere Peppino Impastato e Rita Atria. Sono coloro che hanno mantenuto il legame affettivo con le loro famiglie ma allo stesso tempo hanno avuto la capacità di distaccarsene. Infine ritengo che il progetto "Liberi di scegliere" ( richiamato nel libro per via di tre interviste che Cirrincione fa a dei ragazzi figli di dranghetisti)deve rimanere strettamente legato all' ambito giuridico e giudiziario.Sono i magistrati in fondo a dover valutare la riduzione della potestà genitoriale. Ma è bene dire che in generale legame affettivo non deve annebbiare la vista o la capacitá di critica accade per ogni figlio nei confronti di un genitore, e deve valere anche per chi è figlio di un boss. ".
Del fenomeno della comunicazione e del ruolo dell'informazione sui fatti di mafia ne ha parlato il presidente dello Odg di Sicilia Giulio Francese, figlio di una vittima di mafia, il cronista di giudiziaria del Giornale di Sicilia, Mario Francese.
"Ho letto il libro- racconta Francese- ovviamente i figli di Rina non hanno parlato ma è come se lo avessero fatto perché Dario ha ricostruito tutto. Faccio i complimenti all'autore per l'attualità del tema, ricordo quanto avvenuto a Napoli dove un figlio ha rinnegato il padre camorrista. Antonio Piccirillo prende le distanze dal padre raccontando la vita infernale dei figli di camorra che si devono scontrare con la realtà di essere figlio di un boss ma rifiutando quel mondo. Piccirillo propone a chi vive la sua stessa situazione una strada alternativa: lui fa un lavoro onesto e ha affetto, ma non stima, del padre e chiede anche agli altri di distaccarsi.
Passando invece al ruolo dei giornalisti, questi hanno un ruolo fondamentale, fanno domande e spesso sono considerati scomodi ma se la notizia ha un interesse sociale dev'essere data anche se riguarda i figli dei boss e la loro orbita familiare".
"Noi della società San Paolo pubblichiamo questo genere di libri sottolinea suor Fernanda Di Monte-responsabile del settore Cultura e comunicazione della libreria Paoline di corso Vittorio Emanuele. Quello che ci spinge scegliere di abbracciare progetti come quello di Dario Cirrincione, è il mettere al centro la la persona.Ritengo che bisogna combattere la mafia lasciando via i pregiudizi. Io credo che lo scopo del lavoro dei giornalisti, ma anche di docenti e magistrati è formare ragazzi a intraprendere strade legali. Per noi pubblicare questi volumi rappresenta un servizio per la gente, soprattutto per i più giovani: Invitiamo la gente a riappropriassi della memoria e a non dimenticare".

Il libro verrà presentato il 25 maggio alla libreria delle Paoline di via Notarbartolo a pochi metri dal quel simbolo che è diventato l'albero di Giovanni Falcone

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