Stele per Cassarà e Antiochia. Laura Iacovoni: "Bisogna ricordare cosa è successo ma la mafia c'è ancora"

di Ambra Drago
Sono passati 34 anni dall'omicidio del vice questore Ninni Cassarà e del suo fedelissimo poliziotto Roberto Antiochia caduti per mano di Cosa nostra il 6 agosto 1985 e la 
Questura ed il Comune hanno deciso di ricordarli con la realizzazione di una stele marmorea collocata in piazza Giovanni Paolo II rivolta verso il luogo dell'agguato.
"E' bello che dopo tanti anni che famiglia e le istituzioni riusciamo a tenere alta la memoria perché non è facile anche perché i cittadini tendono a dimenticare- sottolinea Laura Iacovoni-vedova Cassarà- e quindi bisogna essere un pungolo per ricordare quello che è successo. E' stato un periodo triste per noi ma anche per una città che anche allora voleva crescere e rinascere.E' cambiato il fatto che si parla di mafia nelle scuole e oggi è un problema nazionale e credo che sia un passo avanti, ovviamente la mafia c'è ancora".
Una lotta quella del Vice dirigente della Squadra Mobile che portava avanti al fianco del giudice Falcone e anche di Paolo Borsellino. Cassarà con il suo acume investigativo aveva realizzato insieme ai carabinieri il famoso Rapporto Greco +161 che tracciava per la prima volta una mappatura delle famiglie di Cosa Nostra e che sarebbe stato l'embrione del Maxi Processo. Cassarà era un investigatore a detta di chi lo ha conosciuto, un uomo che non si tirava indietro nonostante le difficoltà di mezzi, molti ricordano come riuscì a ottenere il primo computer, ovvero partecipando a un concorso dell'American Exspress e vincendone uno. Pattugliava il territorio anche con i suoi mezzi, anche con una Vespa condotta  il suo fidato uomo, Calogero Zucchetto, anche lui fu ucciso da Cosa nostra pochi giorni prima delle nozze, il 14 novembre 1982 in via Notarbartolo. 
E poi quel rapporto fidato e unico con il Capo della Catturandi, Beppe Montana, ucciso nove giorni prima di Cassarà che il quel momento disse, come ricordato dal giudice Borsellino nella sua ultima intervista rilasciata a Lamberto Sposini, "Dobbiamo convincerci che siamo cadaveri che camminiamo". Ecco un isolamento che Cassarà ma che anche altri uomini dello Stato hanno pagato con la vita.
"Chiamavamo la Squadra Mobile l'avamposto degli uomini perduti - racconta Francesco Accordino- Capo Sezione Omicidi della Mobile negli anni 80'- e sono contento che la città, il questore, siano tutti qui a ricordare Cassarà. Spesso i ragazzi non ricordano il sacrificio di questi uomini. All'epoca dicevano che la mafia non interessava la cittadinanza, che non toccava donne e bambini, invece non era vero. Ci furono i primi cortei dei ragazzi delle scuole che passavano davanti la Mobile e addirittura applaudirono me e Cassarà che eravamo affacciati, li ho avuto la sensazione che qualcosa poteva cambiare".

E sull'importanza di ricordare e di fare memoria ma soprattutto di far diventare Cassarà patrimonio collettivo si è espresso il Questore di Palermo Renato Cortese:"La memoria non ha bisogno di simboli e non ha bisogni di segni fisici però credo che in una terra come Palermo che il sacrificio di Cassarà e Antiochia di lasciare un messaggio ai giovani. Credo che il significato è di far uscire la figura di Cassarà fisicamente rintanata nel condominio di via Croce Rossa e di portarlo nel centro della comunità palermitana.Questo è il posto che merita Cassarà per quello che ha fatto nella sua vita come poliziotto perché è quello che credo sia stato utile al cambiamento di Palermo.

"Avendo preso il posto di questi investigatori- continua il Questore di Palermo- ho avvertito l'importanza del lavoro che facevano e che hanno pagato con la vita a 34 anni, 25 anni e che hanno visto bloccato la loro vita. pensare a Antiochia che era in ferie, lascia Ostia, per ritornare a Palermo dove non era il suo luogo di servizio, credo che siano storie che qualunque parola sia difficile trovare per dare un senso a questi eroi.Allora perché farli cadere nell'oblio perché gli eredi di quella mafia sono presenti e soprattutto per una mafia il cui Dna è sempre potenzialmente in grado di risorgere è giusto che ci sia un contraltare della memoria forte e che non sia un ricordo secco e sterile ma che si trasforma in un impegno collettivo oggi ma soprattutto per il futuro".

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