Chiusa la prima fase della ricerca ‹‹Giovani Dentro››: il 67% è orientato a rimanere nel comune delle aree interne in cui vive

Petralia Soprana, giovani non vogliono andare via dai loro paesi. Vogliono restare ed essere protagonisti del loro futuro anche nelle aree interne. È quanto emerge dall’indagine ‹‹Giovani Dentro››, condotta dall’associazione Riabilitare l’Italia, alla quale hanno partecipato anche i giovani delle aree interne madonite, stimolati dall’Unione delle Madonie. Mille soggetti intervistati, di cui il 52% è di genere femminile e il 48% maschile; il 45% di età 18-29 anni e il 55% di 30-39 anni. A conclusione della prima fase della ricerca, coordinata da Andrea Membretti - professore di Sociologia del territorio all'Università di Pavia, è emerso che il 67% degli intervistati è orientato a rimanere nel comune delle aree interne in cui vive. Un risultato che ribalta la tesi che i giovani delle aree interne e montane vogliono andare via e classifica quelli che restano come giovani senza ambizioni che non sono riusciti a scappare da territori in cui, ormai, ci sono soltanto gli anziani.
Andando ai dati: il 50% degli intervistati è orientato a restare pianificando nel suo territorio la propria vita e il proprio lavoro (soprattutto le donne, 52%) e circa il 15% è orientato a partire, anche se preferirebbe restare. Tra chi resta, i fattori a cui viene attribuito molto peso nella scelta sono: la migliore qualità della vita dal punto di vista ambientale e dello stile di vita (79%), la possibilità di avere contatti umani e sociali più gratificanti (67%), il minor costo della vita (60%) e perché il posto in cui si vive piace e offre opportunità per restare (55%). Le motivazioni principali nella scelta di partire vengono individuate dalla maggior parte degli intervistati nelle opportunità in termini di qualità del lavoro e della formazione (84%) e nella possibilità di accedere a migliori condizioni di vita per l'offerta di servizi culturali, sociali, assistenziali (77%).
Dallo studio ‹‹Giovani Dentro›› emerge anche l'importanza delle attività agro-silvo-pastorali. Solo il 9% degli intervistati ritiene che la motivazione principale per rimanere in agricoltura sia la mancanza di valide alternative di lavoro e solo il 6% non vede motivazioni valide per lavorare in ambito agricolo. Inoltre, la maggior parte degli intervistati ha un rapporto positivo con la natura riconoscendone il valore di risorsa (13%) o vivendola come ambiente incontaminato (59%). Per il 21% il desiderio di contatto con gli animali e la natura è tra le motivazioni fondamentali che portano un giovane a lavorare in agricoltura. Altre motivazioni sono: la continuazione di attività familiari (17%), l’interesse personale (15%) e la preferenza per uno stile di vita semplice (12%).
La riflessione del prof Andrea Membretti evidenzia altresì che alcuni aspetti sono stati influenzati dalle conseguenze della pandemia. I giovani, infatti, hanno cominciato a vedere di più le risorse del proprio territorio che prima magari non erano in luce e sono state colte in modo particolare da chi abitava altrove.
Ci sono giovani che arrivano e giovani che vanno via; chi resta o chi arriva punta essenzialmente sull’auto-imprenditorialità, sulla microimpresa nel settore agrosilvopastorale oppure nell’ambito dei servizi alla persona, ma anche nel settore culturale. Scelte individuali che, da sole, non sono sufficienti. È necessario attivare delle politiche a sostegno di un nuovo modo di abitare perché l'innovazione sociale, economica, culturale ha sempre maggiore necessità di spazi più ampi e meno affollati. La metropoli, come spazio dell’innovazione, è stata già abbondantemente sfruttata; oggi si va verso la transizione green, la riconversione ecologica, che si può sviluppare proprio nelle aree in cui c'è meno pressione antropica, nelle aree interne.

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