Enza Nardi : Ragazzi “Neet”

Care amiche e cari amici,
ciò di cui desidero parlare questa settimana tocca corde che stanno preoccupando parecchi genitori e non solo. Mi riferisco ai cosiddetti “ragazzi Neet”. Il termine Neet è l’acronimo inglese di “not in education, employment or training”, (niente istruzione, niente lavoro, nessuna formazione). Tradotto alla spicciola: “nullafacenti”. Un gruppo sociale che vive nella rassegnazione, dove il futuro è spento e la demotivazione aumenta esponenzialmente. Le energie vitali implodono e non riescono a trasformarsi neanche in protesta. Nel nostro Paese ci sono più di 2 milioni di “giovani in panchina” che non studiano e non lavorano. Sono ragazzi in età compresa tra i 15 e i 30 anni. Ciò porta l’Italia nella vetta come paese in Europa per il numero di Neet.
Un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 30%, siamo al 29,7%. Solo in Lombardia sono 214mila. Un numero di inattività preoccupante, sconvolgente e inaccettabile che non dobbiamo sottovalutare. Numeri che fotografano al meglio, più di tante parole, l’impatto della crisi e che ci devono far riflettere sulla gravità e sulle conseguenze. La mancanza di occupazione impedisce giovani di realizzarsi, di rendersi autonomi e di dimostrare a sé stessi e agli altri il valore del loro essere. A tal proposito ricordiamo il celebre proverbio del naturalista inglese Charles Darwin che tutti hanno sentito almeno una volta nella vita: “Il lavoro nobilita l’uomo”. Teoria dell’evoluzione: attraverso il lavoro l’uomo si nobilita, diventa migliore ed eleva la sua dignità. Tempo fa qualcuno – non voglio entrare in discorsi politici –, si permise di dire “schizzinosi” ai giovani, dando loro l’appellativo di “mammoni”. Quasi come a voler sollevare la colpa a un Paese con un alto tasso percentuale di disoccupazione giovanile. Insomma, un po’ come a voler nascondere la polvere sotto il tappeto. Il modo più facile per celare il problema di fondo e scrollarselo di dosso. Esprimo il mio modesto parere, che non vuole essere motivo di polemica verso chi dovrebbe trovare il modo per salvare i giovani da una situazione avvilente. Dalla mia osservazione emerge un quadro con più ombre che luce. Mi sembra che i nostri giovani ahimè, più che schizzinosi, siano diventati “carne da macello” lasciati allo sbaraglio. Si sottovaluta o si dimentica che sono una grande risorsa, considerandoli invece, un ingombro. Un vero rompicapo che mette a dura prova gli stessi giovani, ma anche chi cerca di inquadrare – qualcuno ancora c’è – l’origine del problema. Ormai la crisi non è più da considerare passeggera ma paradigmatica. In una fase bloccata come questa, urge far decollare un disegno politico attivo che punti sul lungo termine, il cui obiettivo sia fare dei giovani il fiore all’occhiello del rilancio del lavoro. Tengo a far notare che l’incremento della disoccupazione riguarda anche i laureati, passati in un anno dal 5 al 6,8% (per i 25-34enni la percentuale sale dal 10,5 al 13,6%). Non hanno la possibilità di mettere a frutto le conoscenze acquisite nell’iter formativo raggiunto con sacrificio e dedizione. I pochi che riescono a trovare lavoro spesso si ritrovano a svolgere mansioni non corrispondenti alle competenze. Così il “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro cresce ed è molto presente nel nostro paese. Tutto ciò crea scompensi psicologici che ricadono sulla vita dei ragazzi e della propria famiglia. Gli uni perché costretti a fare scelte estreme come oltrepassare i confini del nostro Paese in cerca di lavoro, gli altri perché in alternativa devono diventare i datori di lavoro dei propri figli. Devono provvedere al mantenimento in caso di disoccupazione o di retribuzione insoddisfacente. Questo rende necessario, per chi deve trovare un’utile soluzione, andare non solo più verso la ricerca della stabilità economica e della sicurezza nel mondo del lavoro, ma anche cercare di tenere presente il delicato aspetto “psicologico-umorale” dato dalla sfiducia verso le possibili soluzioni del problema stesso. Insomma bisogna creare entusiasmo e fiducia. Ci sarebbe dunque bisogno di figure di riferimento che facciano da “tramite” con i ragazzi, per evitare che si smarriscano. Se si continua a non far nulla l’Italia diventerà il Paese dei “vecchi” lavoratori. Le stime prevedono infatti che nel 2020 i 57- 66enni sono arrivati a rappresentare il 47% della popolazione occupata totale, a tutto svantaggio delle nuove generazioni. Ad aggravare la situazione poi, l’arrivo del Covid-19 che ha messo in ginocchio tutti, anche la possibilità di creare nuove politiche attive, con pesanti ricadute non solo sui percorsi professionali ma anche sui progetti di vita in generale.


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