Il teatro d'inchiesta di Pirrotta racconta il caso Cortese. Associazione Libera di Don Ciotti: "Tocca a noi alzare la voce perchè ci sia attenzione per la verità"

di Ambra Drago
Il teatro d'inchiesta dell'attore Vincenzo Pirrotta porta in scena la storia professionale dell'ex questore di Palermo Renato Cortese, condannato in primo grado dal tribunale di Perugia a cinque anni e all'interdizione perpetua dei pubblici uffici per il "caso Shalabayeva".
La vicenda, risalente al maggio 2013, ha coinvolto la moglie del kazako latitante Mukhtar Ablyazov, espulsa dal territorio italiano insieme alla figlia Alua di sei anni.
Il17 gennaio a Perugia si aprirà il processo d'appello per un uomo - che come dice la locandina della piece teatrale - è rimasto in un "Cortese silenzio" da uomo di Stato, che rispetta le Istituzioni. L'attore, con la sua forza scenica e accompagnato dal suono di una chitarra, ripercorre gli arresti avvenuti grazie all'impegno e allo spirito di sacrificio di Cortese che nel 2006 da capo della Catturandi insieme alla sua squadra arrestò Bernardo Provenzano e prima ancora Pietro Aglieri, Gaspare Spatuzza, Giovanni Brusca per citarne alcuni. Ma la sua carriera ha visto tappe, con risultati importanti anche da Capo della Mobile di Reggio Calabria. Fu lui ad arrestare uno degli esponenti più pericolosi della 'Ndrangheta, Giovanni Strangio, dopo la strage di Duisburg.
Tanti i meriti acquisiti sul campo, che lo hanno portato a dirigere, sino ad ottobre 2020, la questura di Palermo. Poi è dovuto andare via e lasciare - come ha detto alla platea Pirrotta - la sua città adottiva per l'arrivo di questa sentenza.
L 'attore, originario di Partinico, con passione e forza confida al pubblico: " Per scrivere questo spettacolo, ho studiato carte, ho letto le motivazioni della sentenza. E per me ci sono tante inesattezze". Nel suo "Cuntu" l'attore fornisce il racconto delle tappe della vicenda Shalabayeva. Punto di partenza il 28 maggio 2013 quando il questore di Roma, Fulvio Della Rocca chiede all'allora capo della Mobile, Renato Cortese di ricevere due ambasciatori kazaki. I due dicono a Cortese che a Roma si trova il latitante Mukhtar Ablyazov e che risiede in una villa di Casal Palocco. Il capo della mobile romana, prima di intraprendere alcuna azione, contatta i dirigenti dell'Interpol e della Digos e solo dopo, data la pericolosità del soggetto, organizza una perquisizione, alla quale lui non partecipa. La perquisizione, che avverrà insieme al personale della Digos non avrà un esito positivo. Infatti nella villa, la polizia non trova Ablyazov bensì una signora che si sarebbe presentata con il nome di Alma Ajan, priva di permesso di soggiorno che esibisce un passaporto diplomatico della repubblica Centroafricana, risultato falso.La donna sarebbe stata condotta al Cie e la Procura di Roma,avrebbe avviato il processo di espulsione dal territorio italiano. Madre e figlia vengono rimpatriate su un aereo messo a disposizione dal Governo Kazako.
La donna, solo il 31 maggio 2018, per mezzo dei suoi avvocati avrebbe dichiarato di essere la moglie del dissidente politico Mukhtar Ablyazov e che quindi, lei insieme alla figlia, avrebbero dovuto godere dell'asilo politico.
Dopo questo quadro generale, l'attore siciliano esprime le sue perplessità e soprattutto tutto il suo stupore per la condanna di un Dirigente del prestigio di Cortese.
"Cosa avrà fatto mai? si chiede l'attore e dopo aver fatto il giornalista, dopo essermi districato tra il diritto internazionale e l'applicazione dei diritti umani ( la Shalabayeva ricorda Pirrotta ritornò a vivere tranquillamente nel suo Paese, rientrando a Roma solo nel gennaio del 2014 e chiedendo protezione solo quattro mesi dopo).
Allora mi sono risposto: "Ha fatto solo il suo dovere di poliziotto, ovvero cercare un latitante dopo aver ricevuto una "red notice" dall'Interpol che segnalava la pericolosità di questo uomo".
"Ablyazov non era mai stato un richiedente asilo.Come si apprende dall'Interpol era un uomo pericoloso. Inoltre era ricercato nel suo paese per aver truffato la banca di cui era vicepresidente appropriandosi di 6 miliardi di dollari, avrebbe ucciso durante una battuta di caccia il suo presidente ( condannato a 20 anni in contumacia in carcere), e sarebbe accusato in Gran Bretagna di riciclaggio. Rifugiatosi in Francia, é accusato per frode, conclude l'attore".
Ripercorrendo le motivazioni della sentenza Pirrotta, nel suo racconto, sottolinea come i giudici del collegio presieduti da Narducci non abbiano tenuto conto di una testimonianza come quella dell'allora capo della Polizia, Alessandro Pansa che dichiarava come nel maggio del 2013 non ci fossero pericoli in quel Paese perchè non esistevano segnalazioni negative provenienti da organismi come il Comitato Onu per i rifugiati. Quindi per l'Italia il Kazakistan è un Paese che sta dentro l'Interpol. Pirrotta, sempre con carte alla mano, ricorda come all'epoca fu lo stesso Questore Della Rocca a ribadirlo sottolineando come "qualsiasi richiesta proveniente per noi valeva come qualsiasi altro Paese in un rapporto di cooperazione internazionale".Chiudendo questo aspetto Pirrotta richiama nel suo spettacolo non solo Kafka ma anche Flaiano e qui si apre un altro spaccato.
L'attore continua la storia sino alle notizie più recenti che potrebbero far vacillare la sentenza di primo grado. In uno scoop del Sole 24 ore - prosegue Pirrotta - sarebbe emerso come l'Onu avrebbe affidato nel 2015 ( quindi anni prima la pronuncia di Perugia) al Liechteisten e al Kazakistan il compito di controllare l'Italia nell' applicazione dei diritti umani.
"Un paradosso", dice Pirrotta.
Quindi scopriamo che un Paese ritenuto dittatoriale dai giudici, viene delegato per controllare i diritti umani. E' evidente che lo Stato italiano non ha subito nessuna pressione se non quella di cooperare nel catturare un pericoloso latitante. E un poliziotto non può sottrarsi a questo e poi deve applicare la legge e Renato Cortese ha applicato la legge. Lui non aveva alcun interesse a sequestrare la Shalabajeva, che tra l'altro non ha mai vista. Renato Cortese ha fatto il suo dovere. E che in mancanza assolute di prove invece di assolvere si condanna. Due sono le cose: o è sbagliata la legge o è sbagliata la sentenza".
Domanda che potrà avere una risposta solo alla conclusione del processo d'appello. Dopo un lungo applauso del pubblico l'attore ha riletto la lettera scritta dallo stesso Cortese prima di lasciare la sua Palermo e i suoi cittadini.


Un affetto contraccambiato da tanta gente e testimoniato da Libera che insieme alle associazioni del territorio ha promosso questo spettacolo. E Don Ciotti, presente in Sala, ha espresso la riconoscenza, la stima e l'affetto per un uomo come Cortese che ha speso la sua vita nel contrasto alla criminalità organizzata.
"Ritengo che è paradossale tutto questo. Siamo andati a cercare le carte per non essere noi superficiali e per poter dire con forza si è sbagliato e bisogna rimediare. Abbiamo bisogno di un Paese che abbia il coraggio di mettersi in discussione. Io credo che abbiamo sentito un atto di violenza, di ingiustizia.
Si può anche sbagliare ma poi bisogna avere il coraggio di prendere coscienza dei propri errori perchè c'è in gioco la vita delle persone. Noi siamo qui per affetto e per amicizia.Quello che ho trovato straordinario è il rispetto per la sacralità delle Istituzioni che nutre Cortese. Lui che si è chiuso nel silenzio. Tocca a noi alzare la voce proprio perché ci sia una attenzione per la verità. Io avendolo conosciuto e avendo visto il frutto delle sue fatiche posso dire che ha avuto un grande rispetto dell'altro e che ha sempre dimostrato amore per la vita e per la propria professione. E a qualcuno che ha chiesto se era il caso, ho risposto: "noi vogliamo essere testimoni appassionati del reale e noi vogliamo essere i ricercatori di verità. Siamo corsi qui per portare il nostro piccolo contributo. Grazie e Forza Renato. C'è un pezzo dell'Italia che deve a lui un segno di gratitudine e di speranza".
Presenti alla rappresentazione magistrati come l'ex Procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, ma anche Tina Martinez  Montinaro la moglie del capo scorta di Falcone, ucciso il 23 maggio del 92'  insieme a altri parenti vittime di mafia. E poi ancora Flora Agostino, sorella  dell'agente Nino Agostino ucciso da Cosa nostra, la figlia di Libero Grassi, Alice e anche colleghi di Renato Cortese. E poi ancora giornalisti oltre a rappresentanti del mondo dell'associazionismo e anche attori come Ficarra e Picone e il cantante dei Tinturia, Lello Analfino.

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