Maltolo, il killer dei tumori Scoperta italiana alimenta nuove speranze nella lotta al cancro

Le cellule tumorali non amano il maltolo. La sostanza, contenuta nel malto, nel caffè, nella cicoria e nel cocco, è al centro di una ricerca tutta italiana portata avanti da due diversi team dell'Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” guidati da Mirco Fanelli e Vieri Fusi.
Lo studio, pubblicato sul British Journal of Cancer e sul Journal of Organic Chemistry, individua nel maltolo la base per la messa a punto di nuove classi di molecole capaci di costringere al suicidio le cellule neoplastiche.
Il maltolo è una molecola utilizzata a volte come additivo alimentare per il suo aroma e le sue proprietà antiossidanti, ma una sua opportuna alterazione può fruttare la realizzazione di nuove molecole antitumorali dalle proprietà interessanti.
Il dott. Fanelli, intervistato da Il Ducato, spiega: “abbiamo modificato la molecola di maltolo e abbiamo scoperto che ha interessanti proprietà biologiche tra cui la capacità di indurre delle micro modificazioni della nostra cromatina, quindi nel nostro genoma. 
Le molecole sintetizzate di maltolo - continua il professor Fusi - possono indurre un’alterazione al dna sbagliato, ovvero a quello della cellula con il tumore. In questo caso la cellula ha due possibilità: può tentare di riparare il danno oppure, nel caso in cui non riesca nell'intento, avviarsi verso un vero e proprio suicidio”. 
Fanelli e Fusi hanno dimostrato su modelli neoplastici quali colture cellulari in vitro l'efficacia di due molecole derivate dal maltolo e ribattezzate malten e maltonis. A seguito del trattamento, la capacità di replicazione delle cellule è stata compromessa, avviando un processo biologico destinato a concludersi proprio con il suicidio delle cellule corrotte.
“Il passo successivo sarebbe la sperimentazione clinica e se tutto va bene la speranza è di arrivare a un vero e proprio utilizzo sull’uomo. Siamo in una fase di ricerca sperimentale ma ci sono tutti i presupposti per provare a pianificare tutto questo”, spiegano i due ricercatori.
(www.italiasalute.it)

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