Don Massimo Naro è nato nel 1970, dal 1995 presbitero della diocesi di Caltanissetta, è direttore del Centro Studi Cammarata di San Cataldo dal 2004. Ha diretto la Scuola di formazione socio-politica della diocesi di Caltanissetta dal 1996 al 1998, periodo
in cui è stato anche vice-rettore del Seminario Diocesano nisseno. In seguito è stato rettore del Seminario Diocesano di Caltanissetta, dal luglio 2003 all’ottobre 2009.
Nella chiesa madrice di San Cataldo presta il suo servizio pastorale, complessivamente da più di tredici anni, come vicario parrocchiale. Ha studiato dapprima presso l’Istituto Teologico-Pastorale «Guttadauro» di Caltanissetta – affiliato alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia – e poi presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Dal 1998 al 2010 ha insegnato Teologia sistematica nella sede decentrata della Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA a Caltanissetta. Dal 1998 insegna Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo; insegna inoltre Teologia trinitaria e Escatologia presso l’Istituto Teologico-Pastorale «Guttadauro» di Caltanissetta. Collabora – come redattore o come autore – con riviste teologiche
come Ho Theológos, Filosofia e Teologia, Aisthema International Journal, Ricerche Teologiche, Laurentianum, Studium, Segno, Presbyteri, Rivista del Clero Italiano e altre ancora. Si occupa di tematiche connesse al rapporto fra la teologia e la spiritualità cristiana, la letteratura, l’arte, le religioni. Molto numerose sono le sue pubblicazioni tra cui il testo Contro i ladri di speranza. Come la Chiesa resiste alle mafie (EDB 2016). «Serve un nuovo umanesimo mediterraneo alternativo alla disumanità mafiosa». Dopo un lungo silenzio, alimentato da un sentimento di antistatalismo e da un ambiguo cristianesimo municipale impastoiato nelle parentele, la Chiesa ha iniziato ad affrontare il problema delle mafie solo negli anni delle stragi e degli omicidi eccellenti, come quelli di don Pino Puglisi, don Peppe Diana e Rosario Livatino. Tuttavia, il modo in cui l’ha fatto è stato condizionato dalla retorica «sicilianistica» e dall’appiattimento sul linguaggio tecnico dei magistrati, dei funzionari di Polizia e dei giornalisti. Ciò che è mancato è stato un
lessico specifico, ricco delle parole del vangelo e della tradizione cristiana. E per questo, alla fine, il discorso è suonato più descrittivo che profetico.

Nessun commento:

Posta un commento