di Ambra Drago
Un romanziere Salvo Toscano, il suo ultimo libro “Joe Petrosino.Il mistero del cadavere nel barile” è già nelle librerie, ma soprattutto un giornalista come lui stesso dice “abituato a raccontare la realtà dei fatti” aspetto che ha trasportato anche all’interno della dei suoi gialli. Sul fronte storico e per l’occasione al suo fianco nel chiostro della questura di Palermo, Salvatore Lupo, professore di Storia contemporanea all'Università degli Studi di Palermo le sue pubblicazioni affrontano l’evoluzione della mafia in modo rigoroso e quasi scientifico.Nessuna contrapposizione tra i due, moderati dal Vice Questore Aggiunto Piergiorgio Di Cara (anche lui scrittore per passione e sceneggiatore), semmai un vicendevole completamento nello studio di una realtà, quella della criminalità organizzata e in particolare della mafia che nonostante l’ evoluzione dei tempi continua a resistere, anzi si adegua ai mutamenti ma che è bene sapere che ha una sua caratteristica, come ha sottolineato alla platea il professore Lupo, è intercontinentale.
Un aspetto che trova il giusto riscontro nella storia raccontata da Toscano che affonda le sue radici in Sicilia per arrivare negli Usa dove nel 900’ lavorava un lungimirante poliziotto dal nome Joe Petrosino, nel caso specifico chiamato a risolvere un delitto realmente avvenuto con il ritrovamento del corpo di un italiano nel barile.
Un legame, quello Sicilia - Usa che poi porterà indissolubilmente alla radicalizzazione delle cinque famiglie mafiose i cui componenti iniziali ruotano intorno a nomi del calibro di Giuseppe Morello per poi passare per un siciliano fuggito a New York, come don Vito Cascio Ferro. Questo diventerà amico dello stesso Morello e leggenda vuole ha raccontato il giornalista Toscano che sia stato lui a esportare il pizzo negli Usa.Ecco, un momento storico chiave per cogliere l’evoluzione della mafia, che comparirebbe in un primo rapporto di polizia solo nel 1876 che vede consolidarsi nel tempo i rapporti tra coloro che inizialmente erano bande già presenti a dire il vero prima ancora dell’arrivo degli italiani e di coloro, ha sottolineato Lupo, che si limitavano a occuparsi della falsificazione di banconote prima di arrivare al commercio di tabacchi e di alcool.
Un romanziere Salvo Toscano, il suo ultimo libro “Joe Petrosino.Il mistero del cadavere nel barile” è già nelle librerie, ma soprattutto un giornalista come lui stesso dice “abituato a raccontare la realtà dei fatti” aspetto che ha trasportato anche all’interno della dei suoi gialli. Sul fronte storico e per l’occasione al suo fianco nel chiostro della questura di Palermo, Salvatore Lupo, professore di Storia contemporanea all'Università degli Studi di Palermo le sue pubblicazioni affrontano l’evoluzione della mafia in modo rigoroso e quasi scientifico.Nessuna contrapposizione tra i due, moderati dal Vice Questore Aggiunto Piergiorgio Di Cara (anche lui scrittore per passione e sceneggiatore), semmai un vicendevole completamento nello studio di una realtà, quella della criminalità organizzata e in particolare della mafia che nonostante l’ evoluzione dei tempi continua a resistere, anzi si adegua ai mutamenti ma che è bene sapere che ha una sua caratteristica, come ha sottolineato alla platea il professore Lupo, è intercontinentale.
Un aspetto che trova il giusto riscontro nella storia raccontata da Toscano che affonda le sue radici in Sicilia per arrivare negli Usa dove nel 900’ lavorava un lungimirante poliziotto dal nome Joe Petrosino, nel caso specifico chiamato a risolvere un delitto realmente avvenuto con il ritrovamento del corpo di un italiano nel barile.
Un legame, quello Sicilia - Usa che poi porterà indissolubilmente alla radicalizzazione delle cinque famiglie mafiose i cui componenti iniziali ruotano intorno a nomi del calibro di Giuseppe Morello per poi passare per un siciliano fuggito a New York, come don Vito Cascio Ferro. Questo diventerà amico dello stesso Morello e leggenda vuole ha raccontato il giornalista Toscano che sia stato lui a esportare il pizzo negli Usa.Ecco, un momento storico chiave per cogliere l’evoluzione della mafia, che comparirebbe in un primo rapporto di polizia solo nel 1876 che vede consolidarsi nel tempo i rapporti tra coloro che inizialmente erano bande già presenti a dire il vero prima ancora dell’arrivo degli italiani e di coloro, ha sottolineato Lupo, che si limitavano a occuparsi della falsificazione di banconote prima di arrivare al commercio di tabacchi e di alcool.
Questi giri di affari illeciti,soprattutto durante il protezionismo, avrebbero rappresentato la fonte di guadagno per l’organizzazione mafiosa. In questo quadro storico inizialmente la polizia federale sarebbe rimasta indifferente alla crescita di questa forma di criminalità che piano piano si espandeva con la stessa velocità della comunità italiana.
Insomma ha affermato il professore Lupo dinanzi la platea attenta e coinvolta del chiostro della questura di Palermo,spesso scherzando dico che la mafia è nata a metà dell’oceano Atlantico.
“Volendo fare un discorso raffinato- sottolinea Lupo-bisogna stare attenti alla teoria del super complotto (non significava che già all’epoca c’era un unica testa con sede a Palermo perché allora esistevano una serie di bande interconnesse e non un unico vertice. Questa era la struttura principale delle bande mafiose che in alcuni casi potevano anche organizzarsi. Ritengo che altra figura nell’assetto storico- criminale della mafia è Francesco Motisi, capo famiglia di Pagliarelli, che visse negli Usa, era un membro del consiglio comunale di New York dove vi scappò dopo un accusa di omicidio. Lui trattò con i membri della gang del barile e dopo l’assisinio di Petrosino(avvenuto a Villa Garibaldi il 12 marzo 1909),andò a Liverpool, e infine dopo la Prima guerra mondiale tornò a Palermo con il nomignolo “l’ Americano”. "Voglio dire- conclude Lupo- che abbiamo evidenziato Cascio ferro e Motisi sicuramente ce ne erano altri. Tutti avevano parenti importanti in America, la forza della mafia è la sua dimensione intercontinentale che lega un pezzo di mediterraneo al punto forte dello sviluppo mondiale che è anche un luogo di criminalità organizzata”.
“Volendo fare un discorso raffinato- sottolinea Lupo-bisogna stare attenti alla teoria del super complotto (non significava che già all’epoca c’era un unica testa con sede a Palermo perché allora esistevano una serie di bande interconnesse e non un unico vertice. Questa era la struttura principale delle bande mafiose che in alcuni casi potevano anche organizzarsi. Ritengo che altra figura nell’assetto storico- criminale della mafia è Francesco Motisi, capo famiglia di Pagliarelli, che visse negli Usa, era un membro del consiglio comunale di New York dove vi scappò dopo un accusa di omicidio. Lui trattò con i membri della gang del barile e dopo l’assisinio di Petrosino(avvenuto a Villa Garibaldi il 12 marzo 1909),andò a Liverpool, e infine dopo la Prima guerra mondiale tornò a Palermo con il nomignolo “l’ Americano”. "Voglio dire- conclude Lupo- che abbiamo evidenziato Cascio ferro e Motisi sicuramente ce ne erano altri. Tutti avevano parenti importanti in America, la forza della mafia è la sua dimensione intercontinentale che lega un pezzo di mediterraneo al punto forte dello sviluppo mondiale che è anche un luogo di criminalità organizzata”.
Non poteva non terminare l’incontro, organizzato dalla Questura di Palermo guidata da Renato Cortese, con un breve identikit sul poliziotto Petrosino chiamato a muoversi negli usa del 900’ e anche lui emigrato ad appena 13 anni.
“Petrosino- racconta Salvo Toscano- intuì che la comunità italiana andava anche protetta e capita.Decise di calarsi nella realtà del tempo e formò una squadra italiana, di cinque poliziotti con cui gestiva i fatti criminali di una comunità vasta e inizialmente vista nel suo complesso come portatrice di interessi illeciti. I “dago” così erano chiamati gli italiani negli Usa, erano ritenuti rozzi, coloro da evitare. Ecco che quando accadeva un fatto di cronaca e in mezzo c’era un italiano, Petrosino era chiamato a risolvere casi davvero complessi. Fino al suo arrivo la polizia dell'epoca aveva davvero problemi in tema di ordine pubblico e poi non conoscevano la lingua. Ecco che Petrosino fu lungimirante mise in atto un metodo e soprattutto la vera attenzione nella ricerca della prova diventava ancor più determinante ancorché il delitto era di origine mafiosa”
“Petrosino- racconta Salvo Toscano- intuì che la comunità italiana andava anche protetta e capita.Decise di calarsi nella realtà del tempo e formò una squadra italiana, di cinque poliziotti con cui gestiva i fatti criminali di una comunità vasta e inizialmente vista nel suo complesso come portatrice di interessi illeciti. I “dago” così erano chiamati gli italiani negli Usa, erano ritenuti rozzi, coloro da evitare. Ecco che quando accadeva un fatto di cronaca e in mezzo c’era un italiano, Petrosino era chiamato a risolvere casi davvero complessi. Fino al suo arrivo la polizia dell'epoca aveva davvero problemi in tema di ordine pubblico e poi non conoscevano la lingua. Ecco che Petrosino fu lungimirante mise in atto un metodo e soprattutto la vera attenzione nella ricerca della prova diventava ancor più determinante ancorché il delitto era di origine mafiosa”
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