La favola dell’orrore cominciava di primo pomeriggio davanti ad un computer acceso collegato a internet. E cominciava con due bambine di dodici e tredici anni da sole in una stanzetta. Sole con i loro pensieri di adolescenti. E cercavano distrazioni in chat su Facebook e Badoo. In linea condividevano pensieri, umori, esperienze. Maria e Anna (i nomi non sono quelli veri, ndr) lo facevano spesso, proprio come i giovani della loro età che vagano nella rete per conoscere gente nuova e allungare la lista delle amicizie. Quello dei ragazzi è come un bisogno irrefrenabile di socializzazione che sentono dentro. A un certo punto, però, nelle loro tenere vite sono sbucati tanti adulti, in mezzo ai quali si nascondevano anche “uomini neri” e la loro esistenza è stata stravolta. È una palude questa inchiesta, un pozzo nero sul quale sono rimasti affacciati per mesi i
detective della Polposta di Cosenza. Giorni e giorni passati a definire i contorni di questa prigione torbida nella quale erano intrappolate due adolescenti. Maria e Anna sarebbero state adescate sul web da cinque presunti “orchi” adulti e da altri due non ancora maggiorenni. Uno scandalo che ha sconvolto le loro famiglie e travolto gente insospettabile, persone apparentemente normali. In carcere sono finiti il quarantaduenne Antonio Scaglione, imprenditore, e il quarantunenne Luigi Caruso, commerciante, ammanettato a Genova, dove s’era trasferito da alcune settimane. Ai domiciliari, invece, sono stati assegnati: C.R., 22 anni; N.B., 22 anni; e G.L., 21 anni. Nei loro confronti, il capo dei pm Dario Granieri, il procuratore aggiunto Domenico Airoma e il pm Paola Izzo hanno ipotizzato, a vario titolo, le accuse di abusi sessuali su minori di quattordici anni. Altri due indagati sono diacissettenni e il loro caso e nelle mani del procuratore dei minori di Catanzaro, Beniamino Calabrese. Quelle due bambine, con i seni neppure sbocciati, non capivano nulla di quelle cose che gli sconosciuti postavano in chat. Discorsi per grandi che scatenavano la curiosità delle due amichette. L’in - genuità potrebbe aver fatto il resto. Cose turpi che cominciavano il pomeriggio del sabato quando i genitori a turno le accompagnavano al fast food del centro commerciale di Rende, o sul corso Mazzini dove le bambine raccontavano di incontrare gli amichetti di scuola e, invece, avevano appuntamento con quegli uomini che le facevano salire sui loro mezzi per trasferirsi nell’area industriale di contrada Lecco o al Parco Robinson di Rende, nel parcheggio sotterraneo della stazione ferroviaria di Vaglio Lise, nella frazione di Sant’Ippoli - to e persino nel vallone di Rovito, dalle parti dell’ara dei Fratelli Bandiera. Poi, nell’auto o nei furgoni i presunti “orchi” rubavano l’innocenza di quelle bambine. Alla fine, Maria e Anna venivano riaccompagnate al centro commerciale o su corso Mazzini senza che i loro genitori s’accorgessero di nulla. La vergogna di quei lunghi mesi è raccontata dall’inchie - sta dei detective del primo dirigente Maria Giovanna Rizzo. Dalle carte emerge una storia atroce di cinque uomini uomini che avrebbero giocato con la vita di quelle due bambine Una storia che va al di là di ogni immaginazione. È stato il papà di Maria, un giorno, a presentarsi negli uffici della Polposta. In lacrime ha confidato la sua paura al capo della Sezione cosentina, il sostituto commissario Tiziana Scarpelli. L’altra sua figlia, la sorella più grande di Maria, aveva scoperto per caso sul pc una chat rimasta aperta. In quella stanza virtuale dei social network, la piccolina si sarebbe rintanata per scambiarsi messaggi con gli adulti. I poliziotti telematici hanno cominciato a indagare, esplorando ogni angolo delle autostrade virtuali e scoprendo che i profili aperti dalla ragazzina erano diversi, uno, in particolare, condiviso con Anna. E proprio la madre di Anna ha svelato un particolare inquietante: «Mia figlia riceve tantissimi messaggi da gente sconosciuta e dal contenuto anomalo». Il primo riscontro ai sospetti in mezzo a un centinaio di nomi, di gente che scambiava messaggi con le due bambine, come un docente universitario che a Maria avrebbe scritto: «Tu hai tredici anni? Non preoccuparti, l’età non può essere un ostacolo se c’è l’amore...». Quei nomi, alla fine, sono diventati sette. Il resto lo hanno offerto proprio loro, le amichette che hanno svelato ai poliziotti i segreti di quei turpi incontri nascosti. Per quasi un anno il pm Izzo ha guidato i poliziotti telematici su un sentiero lastricato da difficoltà di ogni genere. Persino una insegnante delle medie che con una delle adolescenti avrebbe avuto un contatto costante sui social network avrebbe negato d’es - sere a conoscenza di quell’altra vita vissuta dalla bambina anche se i poliziotti ne avevano le prove.
detective della Polposta di Cosenza. Giorni e giorni passati a definire i contorni di questa prigione torbida nella quale erano intrappolate due adolescenti. Maria e Anna sarebbero state adescate sul web da cinque presunti “orchi” adulti e da altri due non ancora maggiorenni. Uno scandalo che ha sconvolto le loro famiglie e travolto gente insospettabile, persone apparentemente normali. In carcere sono finiti il quarantaduenne Antonio Scaglione, imprenditore, e il quarantunenne Luigi Caruso, commerciante, ammanettato a Genova, dove s’era trasferito da alcune settimane. Ai domiciliari, invece, sono stati assegnati: C.R., 22 anni; N.B., 22 anni; e G.L., 21 anni. Nei loro confronti, il capo dei pm Dario Granieri, il procuratore aggiunto Domenico Airoma e il pm Paola Izzo hanno ipotizzato, a vario titolo, le accuse di abusi sessuali su minori di quattordici anni. Altri due indagati sono diacissettenni e il loro caso e nelle mani del procuratore dei minori di Catanzaro, Beniamino Calabrese. Quelle due bambine, con i seni neppure sbocciati, non capivano nulla di quelle cose che gli sconosciuti postavano in chat. Discorsi per grandi che scatenavano la curiosità delle due amichette. L’in - genuità potrebbe aver fatto il resto. Cose turpi che cominciavano il pomeriggio del sabato quando i genitori a turno le accompagnavano al fast food del centro commerciale di Rende, o sul corso Mazzini dove le bambine raccontavano di incontrare gli amichetti di scuola e, invece, avevano appuntamento con quegli uomini che le facevano salire sui loro mezzi per trasferirsi nell’area industriale di contrada Lecco o al Parco Robinson di Rende, nel parcheggio sotterraneo della stazione ferroviaria di Vaglio Lise, nella frazione di Sant’Ippoli - to e persino nel vallone di Rovito, dalle parti dell’ara dei Fratelli Bandiera. Poi, nell’auto o nei furgoni i presunti “orchi” rubavano l’innocenza di quelle bambine. Alla fine, Maria e Anna venivano riaccompagnate al centro commerciale o su corso Mazzini senza che i loro genitori s’accorgessero di nulla. La vergogna di quei lunghi mesi è raccontata dall’inchie - sta dei detective del primo dirigente Maria Giovanna Rizzo. Dalle carte emerge una storia atroce di cinque uomini uomini che avrebbero giocato con la vita di quelle due bambine Una storia che va al di là di ogni immaginazione. È stato il papà di Maria, un giorno, a presentarsi negli uffici della Polposta. In lacrime ha confidato la sua paura al capo della Sezione cosentina, il sostituto commissario Tiziana Scarpelli. L’altra sua figlia, la sorella più grande di Maria, aveva scoperto per caso sul pc una chat rimasta aperta. In quella stanza virtuale dei social network, la piccolina si sarebbe rintanata per scambiarsi messaggi con gli adulti. I poliziotti telematici hanno cominciato a indagare, esplorando ogni angolo delle autostrade virtuali e scoprendo che i profili aperti dalla ragazzina erano diversi, uno, in particolare, condiviso con Anna. E proprio la madre di Anna ha svelato un particolare inquietante: «Mia figlia riceve tantissimi messaggi da gente sconosciuta e dal contenuto anomalo». Il primo riscontro ai sospetti in mezzo a un centinaio di nomi, di gente che scambiava messaggi con le due bambine, come un docente universitario che a Maria avrebbe scritto: «Tu hai tredici anni? Non preoccuparti, l’età non può essere un ostacolo se c’è l’amore...». Quei nomi, alla fine, sono diventati sette. Il resto lo hanno offerto proprio loro, le amichette che hanno svelato ai poliziotti i segreti di quei turpi incontri nascosti. Per quasi un anno il pm Izzo ha guidato i poliziotti telematici su un sentiero lastricato da difficoltà di ogni genere. Persino una insegnante delle medie che con una delle adolescenti avrebbe avuto un contatto costante sui social network avrebbe negato d’es - sere a conoscenza di quell’altra vita vissuta dalla bambina anche se i poliziotti ne avevano le prove.
Giovanni Pastore (GDS)

Nessun commento:
Posta un commento