Enza Nardi: Dignità Fino alla fine

Care lettrici e cari lettori,
sono consapevole che l’argomento che sto per trattare scaturirà opinioni divergenti, ma ci consente di scambiare punti di vista e costruire una visione più completa della realtà in cui viviamo. Ci vuole pensiero critico e una certa flessibilità mentale. Diritto alla morte dignitosa, sempre e comunque. In una sola parola “EUTANASIA”, dal greco eu-thanatos ovvero “buona morte, serena e indolore”.
Le domande che mi pongo e vi pongo sono le seguenti:
“Una persona può avere il diritto di decidere di morire se determinate situazioni, come malattie che causano grande dolore e sofferenza o coma irreversibile gli tolgono la lucidità o la possibilità di vivere la propria vita in modo dignitoso?
Si può dare potere decisionale anche ai parenti stretti del paziente in caso lo stesso non possa esprimere la sua opinione, ma che preventivamente lo aveva fatto parlandone con la famiglia?
I suddetti quesiti aprono le porte verso un dibattito sostenuto da tre aree trasversali: “area contraria”, “area possibilistica”, “area favorevole”.
La richiesta di eutanasia, nei paesi dove questa pratica è lecita, viene soddisfatta dopo un percorso che permette alla persona di effettuare una scelta consapevole e libera. In Olanda l’eutanasia è legale dal 2002 anche ai minori di età superiore ai 12 anni, purché con il consenso dei genitori fino ai 16 anni. Nei Paesi Bassi devono sussistere una serie di condizioni, tra cui la piena e consapevole volontà di porre fine alla propria vita e la sussistenza di sofferenze insopportabili, nonché l’assenza di un’alternativa ragionevole. Anche negli USA l’aiuto a morire è consentito, ma solo in alcuni stati come New Jersey, Washington State e Oregon. Nella vicina Svizzera è consentita e le richieste sono almeno quintuplicate dai primi anni 2000 ad oggi, a causa della vicinanza geografica con l’Italia e della relativa accessibilità della pratica, che hanno indotto anche molti nostri connazionali a scegliere questo territorio per l’assunzione del farmaco letale.
Ritengo, a questo punto, assurdo il fatto che per vie traverse un italiano arrivi alla propria fine in un territorio diverso dal proprio solo perché in Italia praticare l’eutanasia costituisce un reato, pertanto è punibile ai sensi dell’articolo 579 (Omicidio del Consenziente) e dell’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio). Quindi tutto si riduce solo a oltrepassare in modo semplice e veloce un confine e porre fine alla propria esistenza fuori dalla terra natia. Assurdo e incomprensibile tutto ciò, anche perché grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, in Italia è invece possibile richiedere il suicidio medicalmente assistito, inteso come “eutanasia passiva”, ossia l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico. Le condizioni richieste sono quattro: la persona che ne fa richiesta deve essere pienamente capace di intendere e volere, deve avere una patologia irreversibile portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche, e deve sopravvivere grazie a trattamenti di sostegno vitale. In pratica, secondo me, cambi il termine, ma il risultato è lo stesso. Diventa solo un’eutanasia clandestina. Allora perché giraci intorno e prenderci in giro? Oltretutto nella carta dei diritti fondamentali dell’uomo c’è scritto: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
A questo punto esprimo il mio pare. Credo che chi arriva a preferire la morte alla vita è perché è arrivato al limite della sopportazione, della sofferenza e dell’agonia e allora perché non “regalare” la possibilità di non vivere in modo così drammatico e sofferente? Con quale cuore e sentimenti di pietà e carità si tiene in vita un malato terminale che vuole morire che soffre le “pene dell’inferno” e che certamente è destinato alla morte comunque?
Concludo dicendo: no alla vita mortificata dalla sofferenza annichilita dallo stato vegetativo.


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