NARCOMAFIE AGGIORNAMENTO SETTIMANALE

“Io non ho mai avuto l’intenzione di uccidere la madre di mia figlia. Quel 24 novembre 2009 ho avuto un raptus, non so cosa mi sia preso”. Racconta ncosì Carlo Cosco, nell’udienza di ieri, martedì 16, che lo ha visto protagonista in qualità di teste. Per la prima volta da quando il processo è iniziato (compreso il primo grado) l’imputato non ha reso dunque dichiarazioni spontanee, non si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma si è seduto di sua sponte dinanzi alla Corte, sottoponendosi alle domande di accusa e difese. D’altronde, l’aveva preannunciato già alla riapertura del processo di appello: “Dopo che parlerà Venturino – aveva detto – dirò la mia verità”. (continua)
Fuma Kim Jong-Un, il dittatore più enigmatico del mondo, e fumano il 54% degli abitanti della riottosa Corea del Nord. Il tabacco è un elemento di unione nell’impenetrabile austerità della società nordcoreana: fumano i soldati alla frontiera con la nemica Corea del Sud e i dirigenti del potente Partito Comunista, i pescatori e gli operai dei villaggi più remoti. Ma nel corso degli ultimi due anni questo vizio è diventato anche una importante fonte di guadagno per il regime. Sopra il 38° parallelo il commercio illegale non riguarda più soltanto armi e stupefacenti, le sigarette di contrabbando sono infatti il nuovo business di Stato che arricchisce Pyongyang. (continua)
La Repubblica Dominicana (circa 10milioni di abitanti, oltre 20mila gli italiani residenti con tendenza alla crescita), paese con spiagge di straordinaria bellezza, è ritenuto un hub privilegiato per lo smistamento della cocaina proveniente dalla Colombia e diretta verso i mercati americano, canadese, portoricano, europeo. Già quindici anni fa, Rogelio Guevara, alto funzionario della Dea (l’agenzia antidroga americana), in sede di audizione innanzi ad una commissione del Congresso, sottolineava come già allora la Repubblica Dominicana fosse il “centro di comando, controllo e comunicazione delle operazioni di droga nei Caraibi”. Avrebbe potuto, magari, aggiungere (ma forse lo ignorava) che la droga, soprattutto marjiuana, era entrata nel paese proprio grazie ad agenti americani della Cia, in occasione dell’invasione militare del 1962, con l’obiettivo, stimolando il consumo, di attenuare la resistenza locale contro l’invasore “gringo”. (continua)
Arriva sul web una petizione lanciata da Francesca Munno e Giuseppe Giordano, indirizzata al Consiglio Superiore della Magistratura per chiedere di revocare il trasferimento ad Aosta di Ingroia e assegnarlo alla Direzione Nazionale Antimafia. Il testo dell’appello fa riferimento alladecisione del Csm di trasferire ad Aosta il magistrato palermitano. “Noi tutti sappiamo benissimo – si legge – con quale tracotanza e violenza la mafia condiziona la nostra vita. E, pur comprendendo la norma di legge che vieta l’esercizio del Magistratro nelle sede ove è stata oggetto di candidatura politica, siamo qui a suggerire a codesto CSM, di esaminare l’opportunità, oltre a revocare il trasferimento, di voler assegnare il Giudice Antonio Ingroia, presso la Direzione Nazionale Antimafia”. (continua)
Per scrivere il libro “La nostra guerra non è mai finita” (Mondadori, 2013), Giovanni Tizian ha trovato la forza e il coraggio di raccontare senza pudore e senza reticenza quale sorpresa mista a rabbia e paura provò il 22 dicembre 2011, il giorno che la Questura di Modena, in modo inatteso, senza fornirgli dettagli, gli assegnò una scorta. Lo chiamarono e gli dissero solo che alcuni malintenzionati volevano fargli del male a causa delle inchieste giornalistiche che svelavano il livello di penetrazione della ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Giovanni racconta l’angoscia di quel giorno e quella dei giorni successivi, di questo lungo anno di vita blindata. (continua)
Può un boss della ‘ndrangheta calabrese detenuto in un carcere di massima sicurezza riuscire ad aggredire a pugni un pm arrivato per interrogarlo? E’ quello che è accaduto nel carcere di Mammagialla a Viterbo nel novembre scorso quando Domenico Gallico, boss della omonima ndrina, è riuscito ad aggredire e malmenare il Pm calabrese Giovanni Musarò giunto sul posto per interrogarlo. Come rivela il Corriere del Sera per quell’episodio sono ora indagati tre agenti della polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Viterbo. (continua)
E’ almeno dagli anni Cinquanta che Panama è considerato dagli esperti il paradiso fiscale più antico e meglio organizzato fuori d’Europa. E’ sicuramente la base di numerose compagnie di facciata (nel 2011 erano iscritte a registro oltre 2500) a nome di stranieri che non hanno mai messo piede nel paese. Del resto, la parola “panama” viene comunemente intesa negli ambienti criminali come “impresa fittizia per evadere le imposte”. La sensazione che si prova, passeggiando per Panama, è che le numerose banche (ce ne sono almeno 130 di una cinquantina di paesi) “sovrastino” completamente la capitale e le istituzioni. Impossibile sradicare questa struttura. (continua)
Margherita Asta e Marene Ciaccio Montalto, due anime unite nella libertà dalle mafie. Due storie intersecate fra loro. A fare da denominatore comune Trapani e le uccisioni per mano mafiosa: la mamma e i fratelli di Margherita, il papà di Marene. E molto ancora. A Trapani il sostituto procuratore Ciaccio Montalto aveva svolto le indagini sui clan votati al traffico di droga, al commercio di armi, alla sofisticazione di vini, ai rapporti tra mafia, politica e flussi di denaro, agli appalti per la ricostruzione del Belice dopo il terremoto del 1968. Ciaccio Montalto aveva intuito il ruolo nevralgico di Trapani nello scacchiere mafioso, la città del latitante Matteo Messina Denaro. (continua)
Subito una premessa, a scanso di equivoci. Storicamente il territorio trapanese è stato preda di inciuci criminali incredibili. Crocevia di traffici, armi e droga. Cassaforte dei soldi sporchi che qui venivano ripuliti. Riciclaggio insomma. Ci sono stati pezzi dello Stato che hanno fatto parte di questi scenari, ma la regia è sempre stata la stessa, quella di Cosa nostra. Ci sono pagine e pagine di rapporti che raccontano queste storie, a cominciare da quello del dirigente della Squadra Mobile Giuseppe Peri inoltrato a diverse procure nell’agosto del 1977. (continua)
Se non sei dentro un cartello, non è facile trasportare merci e svolgere servizi di logistica. È stato così a Fondi, in provincia di Latina. Chi non faceva parte di determinati consorzi o non si affidava alle ditte compiacenti non entrava nelle attività del mercato ortofrutticolo, tenuto in piedi da un accordo tra mafia catanese, camorra, ‘ndrangheta. È un settore ad altissimo rischio quello dei trasporti. Infiltrarsi nei servizi è congeniale per le mafie. Lo aveva già intuito la vecchia mafia dei padrini, da Calogero Vizzini a Genco Russo che detenevano il monopolio del commercio dello zolfo e delle stesse miniere siciliane. (continua)
“Per l’omicidio di Lea Garofalo non è stato usato l’acido. Ne sono sicuro. Così come dico che Massimo Sabatino e Giuseppe Cosco sono estranei a quanto accaduto il 24 novembre 2009”. Carmine Venturino racconta senza freno alcuno tutto ciò che sa, proseguendo e terminando la propria testimonianza. Che, spiega, non è stata resa prima “perché i miei avvocati difensori (Pietro Pitari e Francesco Garofalo, n.d.a.) non hanno voluto. Io volevo collaborare, ma loro mi hanno detto di non farlo, perché tanto saremmo stati tutti assolti. Mancavano le prove: il corpo, l’arma del delitto. Avevo anche chiesto all’avvocato Steinberg (difensore di Carlo Cosco, n.d.a.) di dire al suo cliente di ammettere le proprie responsabilità, ma non l’ha fatto. Io avrei voluto raccontare tutto quanto prima, durante l’altro processo”. (continua)
Due fatti recenti, scollegati tra di loro, sugli stranieri, ci suggeriscono di fare due sintetiche considerazioni. La prima riguarda il corteo “pacifico”( solo perché non ci sono stati incidenti) di qualche centinaio di giovani ultrà, tifosi della Lupa Piacenza Calcio, accompagnati, in coda al corteo, da qualche esponente politico locale della Lega e della destra, che hanno sfilato nel quartiere multietnico di Via Roma, inneggiando, con canti in dialetto, al “valore”(!) della piacentinità e manifestando, in tal modo, “solidarietà” ai piacentini che vivono in quel quartiere, con i disagi connessi ad episodi di intemperanza e di inciviltà di taluni stranieri tra quanti, pure da anni, vi hanno preso alloggio e avviato piccoli esercizi commerciali (frequentati da tutti). (continua)

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